Pasqualino Tolmezzo

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    Molte sono le qualità riconosciute agli alpini, senso del dovere, sacrificio, lealtà, solidarietà e quest’ultimo valore è stato espressamente citato nell’articolo 1 della recente legge 44 del 5 maggio 2022 relativa alla Giornata della memoria e del sacrificio alpino, laddove il dettato normativo recita “valori etici che gli alpini incarnano”. Un episodio di grande umanità alpina accadde domenica 23 marzo 1913, Pasqua del Signore, sul fronte ad Assaba sull’altopiano libico del Gariàn ad occidente di Tripoli, verso la Tunisia.

    Il colonnello Antonio Cantore si trovò ad ingaggiare una cruenta battaglia contro la munita fortezza delle forze avversarie, circa 5.000 uomini, capeggiate dallo sceriffo El Barouni. Furono necessari ben sei assalti per espugnare la fortezza e venne colpito a morte anche il destriero dello stesso Cantore che illeso, a piedi, si buttò avanti all’attacco in testa agli uomini, brandeggiando il suo carismatico frustino e gridando, con tipica cadenza genovese “Avvanti, avvanti!”.

    Il battaglione Tolmezzo fu il primo reparto ad entrare nella fortezza conquistata e si trovò davanti una scena umanamente straziante: una donna probabilmente una schiava nubiana che ferita a morte stringeva al suo petto il suo piccolo piangente di circa 2 anni. La donna, poco prima di morire, aprì le braccia come per offrire a quei “nemici” che la attorniavano il suo bene più prezioso affinché lo proteggessero. In quella giornata di morte e sofferenza fu amore improvviso, fu la luce abbagliante dell’umanità che scaturì dai cuori dei montanari friulani: presero il piccolo, lo rifocillarono e lo posero come prima “culla”, in una cassetta vuota di munizioni.

    Il sergente maggiore del Tolmezzo, Michele Toldo, donò subito al piccolo tutto il suo affetto, lo cullò e se ne prese cura. Dopo la battaglia il bimbo rientrò con gli alpini del Tolmezzo agli acquartieramenti in Tripolitania e all’unanimità gli venne dato il nome di Pasqualino Tolmezzo. Toldo diventò ufficialmente la sua balia grazie anche ai consigli della sua fidanzata che gli pervenivano via posta militare: il bimbetto venne su bene a forza di pappine di latte condensato, pastasciutta cotta e tritata, primo e unico menu della giovanissima “matricola”. Questa prima affezionatissima balia morirà tragicamente in prigionia in Germania nel 1944.

    Il 2 dicembre 1913 il battaglione rientrò a Udine e, durante la sfilata, a dorso di un mulo c’era anche Pasqualino, dagli occhi e la pelle scurissimi: la folla di Udine lo acclamò e lui rispose contento ma serio con il gesto del saluto militare che gli era stato insegnato. Pasqualino venne ospitato in un istituto di Religiose e poi nel brefotrofio. Il 1º novembre 1914 il vescovo di Udine Rossi lo battezzò con i nomi di Pasqualino, Renato (nato due volte) Costantino come il suo padrino di battesimo, il capitano Cavarzerani (cofondatore con Cantore nel 1909 dell’8º Alpini), e infine Beatrice come la contessa Pirozzi figlia del generale comandante la divisione Udine.

    Dopo il battesimo Pasqualino continuò a vivere a Udine ricevendo ogni assistenza necessaria, amato dagli alpini del Tolmezzo e il giorno 10 maggio 1923, venne regolarmente iscritto all’anagrafe. Frequentò poi l’istituto Di Toppo Wassermann fino alla terza ginnasio e il 9 novembre del 1925 si trasferì a Napoli per frequentare la famosa Scuola Nunziatella fino al 1930, unico allievo nero nella storia del prestigioso collegio militare. Ammesso a frequentare l’Accademia militare di Modena, nel 1933 venne nominato sottotenente in servizio permanente effettivo presso l’arma di fanteria, nel Corpo di amministrazione e destinato alla Scuola di applicazione di Parma. Cresciuto alto, robusto, dall’italiano fluentissimo, Pasqualino divenne ufficiale del Regio Esercito nel 1933.

    Otto mesi dopo ricevette un dispaccio ministeriale che lo cancellò dalle liste di leva per mancanza del requisito della “nazionalità italiana metropolitana” e allo stesso tempo gli assegnò un incarico di operaio civile temporaneo, come aiuto contabile date anche le sue competenze amministrative, presso il 10º reggimento di artiglieria del Corpo d’Armata di Napoli. Nel profondo del suo cuore Pasqualino era totalmente alpino e doveva tutto agli alpini, ma certamente i pregiudizi circa il colore della pelle nel Ventennio erano consistenti per quanto non ancora sfociati nelle leggi razziali che arriveranno nel novembre 1938 e con buone probabilità tali pregiudizi sempre più forti come i legami con l’alleato totalitario germanico, avevano già influito sugli Alti comandi per destinare quest’ufficiale italiano anomalo ad incarichi amministrativi, di minor visibilità rispetto a reparti operativi.

    In data 4 gennaio 1936 decide di scrivere un’accorata supplica al re d’Italia che però venne respinta. Pochi mesi dopo, ad Arco, con l’animo e fisico ormai debilitati e senza più la voglia di lottare, Pasqualino è colpito da una violentissima patologia polmonare che in breve tempo, il 13 ottobre del 1936 lo porterà alla morte. Pasqualino aveva scritto chiaramente nelle sue ultime volontà il fortissimo desiderio di essere sepolto a Udine, in quella che lui considerava la sua città natale e dove c’erano i suoi alpini, per lui padri e fratelli. Così fu e Pasqualino venne portato a Udine e sepolto dai suoi alpini con tutti gli onori, nel cimitero cittadino di San Vito, alla cui tomba sempre provvidero e ancora provvedono gli alpini. Se sapremo guardare bene nel cielo della tua bella Udine alla prossima 94ª Adunata, oltreché nei nostri cuori alpini, io credo che vedremo la luce del tuo sorriso.

    Valter Lazzari