Parole dalla storia

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    Una tranquilla domenica di metà ottobre, su nel Comelico, a Santo Stefano di Cadore. Mentre nel resto d’Italia si commemora il Milite Ignoto, qui si è venuti a far memoria di un Caduto cui finalmente si è potuto dare un nome. Era il 1983 quando alcuni vicentini, scendendo dal Passo della Sentinella, ai piedi del Vallon del Popera, si imbatterono nei resti di un militare morto durante la Prima guerra mondiale. Recuperarlo e dargli sepoltura, alla presenza del Presidente della Repubblica Pertini, fu la cosa più ovvia per la pietà della gente. Oltretutto in paese, il curatissimo cimitero di guerra, messo in piedi con stile monumentale fin dal 1921, sembrò il luogo più intimo per dare pace a quei poveri resti. Ma non tutti furono acquietati da quel ritrovamento e da quella sepoltura.

    Una domanda incalzava: di chi erano quei resti? A porsela fu un gruppo di ricercatori, proveniente da varie città italiane, che forse sarebbe giusto definire archeologi dell’anima. Chiamati così perché in loro è difficile capire dove finisce la passione per l’indagine storica e inizia invece la passione del cuore. Fu a partire dal 2016 che Mauro Ambrosi di Trieste, Federica Delunardo di Roma, Silvia Musi di Guastalla e Antonio Sasso di Zugliano (Vicenza), nel frattempo “andato avanti”, si misero al lavoro. Nel 2019 si aggiunsero Guglielmo De Bon di Calalzo di Cadore e Daniele Girardini di Venezia.

    Fu abbastanza facile restringere la rosa dei nomi su cui indagare. Soprattutto si capì da subito che era stata la neve a nascondere nel proprio ventre tante vite umane, rubate alla giovinezza, in quel terribile inverno del 1916. Vite nascoste e mai più ritrovate, fino a quando il cielo decise di muoversi a compassione, facendo riaffiorare i resti mortali. Come dei moderni Sherlock Holmes, concentrati sui pochi indizi possibili, i nostri riuscirono finalmente a dare un nome sicuro a quel giovane Caduto. Si trattava del sottotenente medico Carlo Cosi di Napoli. Era nato nel 1890 ed era morto quando di anni ne aveva 26. Chiamato a soccorrere i feriti usciti vivi da una caduta di neve, fu travolto a sua volta da successive valanghe, diventate bianco, soffice mantello, come recita la celeberrima “Signore delle Cime” di Bepi De Marzi. Faceva freddo la mattina della cerimonia.

    Il termometro già sceso sotto zero aveva dipinto di brina i tetti e i prati del paese. Ma si respirava aria di famiglia, calore che coinvolgeva. Perché gli alpini della Sezione Cadore avevano fatto le cose per bene come sanno fare da quelle parti, dove le arie gelide che spirano dalle vicine terre asburgiche si mescolano ai canti della memoria che si alzano dalle acque cristalline del Piave. Ricordare Carlo Cosi, milite non più ignoto, è stato più di una cerimonia dovuta. Più verosimilmente una metafora, come a voler dare voce a quei Caduti, capaci di parlare dai monumenti che li custodiscono. Dare voce per un giorno alle migliaia di servi, come li ho chiamati durante la funzione liturgica.

    Servi, umili e silenziosi, che quasi mai finiscono sulle targhe delle vie e delle piazze, ma che di fatto, come succede anche nella vita, sono il vero motore, che decide il destino delle persone e l’indirizzo di una società. Servi di poche parole, pronti a dare senza pretendere, come ha ricordato il nostro Presidente, soprattutto richiami forti dentro un tempo dove l’ipocrisia dei parolai si intreccia spesso con l’opportunismo degli individualisti. Una ragione in più per imparare tacendo. Nella speranza che agli zelanti delle chiacchiere sia data intelligenza, così come un supplemento di zelo sia dato a tutti gli intelligenti, quelli capaci di capire il valore dei tesori che ci sono stati dati in custodia.

    Bruno Fasani