No, grazie

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    E poi dicono che dovremmo cambiare. Sembrava ieri quando, ottant’anni fa, gli alpini si ritrovarono ad Aosta per la prima Adunata in questa valle.
    Possiamo dire che erano i nostri padri fondatori, diversi dagli alpini di oggi soltanto per la terribile esperienza della guerra conclusa cinque anni prima, identici nello spirito, negli ideali.
    Da allora non sono trascorsi soltanto ottant’anni.
    È sopraggiunta una dittatura, un’altra guerra, una guerra civile in un’Italia spaccata in due, la Repubblica, la ricostruzione del Paese, il boom economico, una crisi energetica prima e una caduta di valori nella cosiddetta società civile, poi.
    Gli alpini sono rimasti sempre quelli.
    Hanno sfilato ad Aosta per la seconda volta, più numerosi, più festanti, al suono di tante fanfare. Ma negli striscioni che ciascuna sezione portava come tanti biglietti da visita c’erano accuse, ammonizioni, rivendicazioni, dichiarazioni di fedeltà e di amore per il Corpo degli Alpini, per l’Italia, per la montagna.
    Proprio come ottant’anni fa.



    E poi dicono che dovremmo cambiare.
    C’erano, negli striscioni, la voglia di brigate, di battaglioni e di alpini nati e cresciuti in montagna, la difesa d’una secolare tradizione, il richiamo a valori che sono il fondamento della nostra società. Un richiamo alle radici, pur nella modernità.
    Hanno sfilato gli alpini della Protezione civile, addestrati, preparati, motivati; ha sfilato il nostro ospedale da campo, un gioiello di pronto intervento. Hanno sfilato
    in decine di migliaia venuti da ogni parte, così diversi, così uguali.
    Contemporaneamente, migliaia di altri alpini, da ogni parte d’Italia e del mondo, vedevano in rete quanto avveniva ad Aosta, perché gli alpini hanno gli scarponi ma anche il computer, vanno per le montagne, ma anche navigano in rete.



    E poi dicono che dovremmo cambiare.
    Dicono anche che gli alpini di una volta non servono più. Vedremo se fra ottant’anni ci saranno ancora Adunate di dodici ore, fatte da quanti avranno fatto la naja alpina e che, una volta congedati, avranno continuato a portare il cappello in testa e saranno diventati un punto di riferimento sociale, morale, istituzionale, e accorreranno quando c’è bisogno di dare una mano senza chiedere nulla in cambio.
    Ecco perché noi vogliamo continuare ad essere quelli che siamo. E allora, a chi ci dice che dobbiamo cambiare rispondiamo, uniti e determinati, per noi e per l’Italia: no, grazie.