Nikolajewka, un simbolo della memoria

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    Come l’Ortigara richiama il simbolo più significativo del sacrificio degli alpini nella Grande Guerra, così Nikolajewka riconduce alla tragedia più grande se fosse possibile tracciare una classifica del dolore che ha coinvolto gli alpini nel secondo conflitto mondiale. Nikolajewka è un simbolo della memoria, e che oggi questo nome figuri soltanto nelle vecchie carte topografiche, sostituito dal moderno e sereno Livenka, rende ancor più profondo l’archetipo d’una tragedia che non potrà mai essere dimenticata.

     

    La ricorrenza viene celebrata con particolare solennità a Brescia, dove gli alpini hanno costruito l’istituto per miodistrofici Nikolajewka , un nome che comprende tutto: il sacrificio di tanti alpini, la memoria, la solidarietà e il desiderio di pace.

    Quest’anno, 65º anniversario della battaglia, c’erano il presidente nazionale Corrado Perona con il Consiglio direttivo nazionale, il comandante delle Truppe alpine gen. di Corpo d’Armata Armando Novelli ed il generale di divisione Bruno Petti, una rappresentanza dell’UNIRR, l’Unione nazionale reduci di Russia con il Labaro, il sindaco di Brescia Paolo Corsini, il presidente della Provincia Alberto Cavalli, il questore Vincenzo Montemagno.

    Prestava servizio d’onore una batteria del 1º reggimento artiglieria da montagna con la fanfara della brigata alpina Taurinense. Ospite ormai tradizionale, una significativa rappresentanza dell’ambasciata della Federazione Russa, con il console generale a Milano Alexander Nurizade, l’addetto militare ed aeronautico col. Sergey Kolivatov, l’addetto navale capitano di vascello Evgeniy Shitov e l’addetto militare aggiunto col. Vladimir Medvedkov.

    Il programma della celebrazione aveva preso l’avvio il lunedì precedente con una conferenza stampa, poi con una mostra storica, concerti dei cori alpini Alte Cime, Monte Suello e Valcamonica, incontri di studenti con i reduci, la presentazione del libro DNA Alpino e un concerto della fanfara Tridentina della sezione di Brescia. Sabato mattina l’alzabandiera al Castello un luogo che ricorda le Dieci Giornate di Brescia del 1849 poi la deposizione di corone di fiori ai cippi dedicati ai Caduti, nelle scuole della città (un piccolo gesto fuori programma è stato quello della signora Angela Calvi che alla scuola media Nikolajewka, continuando la tradizione del padre andato avanti, il generale Nanni Calvi, reduce di Russia, ha deposto un mazzo di fiori accanto alla corona degli alpini).

    A conclusione della mattinata, alzabandiera all’istituto Nikolajewka, nel quartiere Mompiano, con le bandiere italiana e russa issate sullo stesso pennone mentre la fanfara della Taurinense eseguiva i rispettivi inni nazionali. Ha parlato quindi un reduce che è un’icona degli alpini: Nelson Cenci. Ha raccontato di combattimenti, di neve e gelo, di compagni caduti, di disperazione ed eroismi e soprattutto di un’esperienza che ha segnato la loro vita di ventenni.

    Guardavamo lontano, ma era sempre lo stesso paesaggio; dopo i combattimenti cercavamo le nostre linee, dietro le quali c’era la salvezza la mattina speravamo che la sera sarebbe stato tutto finito si camminava, camminava, non importava più nulla, di vivere, morire. Importava solo dormire . Impossibile dimenticare, guarire queste ferite dell’anima: Nikolajewka torna sempre, fa da sottofondo a ogni pensiero, sovrasta ogni azione. NiKolajewka è ogni giorno della vita di chi è uscito da quell’inferno.

    Nel pomeriggio la città ha accolto ufficialmente tre bandiere di guerra in piazza della Loggia: quella del 5º, dell’8º e del 1º artiglieria da montagna: la bandiera di guerra dei reggimenti che furono della Tridentina, Julia e Cuneense, le tre divisioni che operarono in Russia. Il generale Novelli, con a fianco il nostro presidente nazionale Perona, ha passato in rassegna la compagnia d’onore e salutato i due Labari, dell’ANA e dell’UNIRR, poi ha proseguito e ha unito nella rassegna vessilli e gagliardetti.

    C’è stato un gradito fuori programma del cerimoniale ufficiale, quando Novelli e Perona hanno passato in rassegna’ anche il pubblico che faceva quadrato ai lati della piazza: sono stati accolti da scroscianti battimani da parte dei bresciani e degli alpini tra il pubblico. È seguita, nella fastosa cornice del palazzo comunale, la commemorazione ufficiale.

    Il sindaco Corsini, che ha ricordato i battaglioni Edolo, Vestone, Valcamonica e Valchiese, e affermato che questa celebrazione ravviva la memoria del sacrificio degli alpini e rinnova l’appello alla pace, della quale gli alpini conoscono il valore. Ha poi ringraziato il console della Federazione russa per la sua presenza che testimonia il legame fra due popoli uniti nel combattere le insidie del nostro tempo.

    Al termine ha consegnato a Novelli e a Perona una statuetta della Vittoria alata e al console un libro fotografico di Brescia, una città che conserva testimonianze d’arte di immenso valore. Il gen. Novelli ha ringraziato il sindaco, il console e i colleghi ufficiali russi per la loro presenza, ha avuto parole di stima per la nostra Associazione e ricordato il servizio degli alpini impegnati nelle missioni di pace, in Kosovo, in Libano, in Afghanistan, per dare a questi paesi sicurezza, assistenza e speranza.

    Perona ha parlato di un suo recente viaggio in Russia, di una donna che gli indicò un campo al quale, da bambina, andava con la madre a deporre un fiore su una fossa comune, dov’erano sepolti tanti soldati talianskij, poveri ragazzi, morti senza una preghiera e una lacrima . Siamo qui oggi per onorare questi Caduti ha concluso il presidente Per non dimenticare .

    Molto apprezzato il discorso del console Alexander Nurizade, in un italiano perfetto, privo di accento. Si è detto commosso nel vedere le due bandiere, italiana e russa, salire unite al suono degli inni. Ha detto che è importante onorare i Caduti e altrettanto importante unire gli sforzi per evitare che ciò che è stato accada ancora. Ci sono emergenze da affrontare insieme, ha detto il console generale, grandi sfide tecnologiche ed ecologiche.

    Lo spirito di Rossosch è lo spirito di amici, lo stesso che vedo qui, oggi , ha concluso fra gli applausi. Il presidente della Sezione di Brescia, Davide Forlani, ha parlato della tradizionale collaborazione con l’amministrazione comunale, ha ringraziato il generale Novelli per la presenza delle tre Bandiere di guerra e per aver salutato i bresciani, con il nostro presidente, durante la rivista in piazza della Loggia.

    Poi la celebrazione di una Messa in Duomo, officiata dal vescovo monsignor Luciano Monari. All’omelia, il presule ha parlato della luce di Dio, della sua vicinanza anche nei momenti difficili e bui della vita. Una vicinanza fatta anche di amore e di solidarietà, come i gesti degli alpini, che sono il patrimonio più bello della nostra società , ha concluso. A sera, al Teatro Grande, è stato dato lo spettacolo La notte che il buio inghiottì la terra , in una sala gremita.

    Domenica 27 la città è stata invasa dagli alpini. Alla sfilata, aperta dalla fanfara e da un picchetto armato della Taurinense, dalle tre bandiere di guerra seguite dalla scorta armata, dietro al nostro Labaro e a quello dell’UNIRR c’erano oltre 40 vessilli e circa quattrocento gagliardetti. Seguiva una marea di penne nere valutate in circa quindicimila. In piazza Paolo VI, la cerimonia di chiusura.

    Il sindaco Corsini ha ricordato che questa piazza ha segnato momenti solenni e significativi: il conferimento della medaglia d’Oro ai reggimenti della Tridentina che avevano combattuto in Russia, la consegna della medaglia d’Oro al generale Reverberi, nel ’50, cerimonie che dimostrano lo stretto legame della comunità bresciana con le penne nere.

    E ha concluso con un Viva l’Italia, vivano gli alpini! . Un vivano’ che è sembrato un augurio, quasi una panacea tanto più necessaria alla società d’oggi. Alberto Cavalli, presidente della Provincia ha affermato che ovunque serva qualcosa, ci sono gli alpini pronti a intervenire, sul solco di una tradizione che costituisce uno dei patrimoni più grandi del nostro Paese.

    Il generale Bruno Petti, ha portato il saluto dell’Esercito e delle Truppe alpine, ha ricordato la cerimonia, nel ’50, dell’arrivo dalla Russia in quella piazza dei resti di cento Caduti, accolti con tutti gli onori. E, rivolgendosi agli alpini in armi schierati, ha chiesto: Come saremmo noi, se non avessimo avuto l’esempio di chi ci ha preceduto? . La conclusione al presidente Perona: Non si strappa dal cuore la forza dei ricordi , ha esordito.

    Ha messo a confronto il senso del dovere degli alpini con il disagio che si prova nel vedere la perdita di dignità in qualche settore istituzionale del Paese. Ha salutato i reduci, che da 65 anni portano il peso di tremendi ricordi: il loro ha detto il presidente è uno zaino più pesante del nostro . E ha ricordato il grande contributo e il debito che l’Associazione ha nei confronti dei reduci, tre dei quali, Ugo Merlini, Vittorio Trentini e Leonardo Caprioli, sono stati presidenti nazionali.

    Ultime annotazioni: l’organizzazione perfetta da parte della Sezione, frutto di grandi impegni di tanti in ogni momento celebrativo e l’ottimo lavoro dello speaker Francesco Brighenti, al concerto dei cori al Teatro Grande e nel commentare il passaggio dell’ordinata sfilata davanti alla tribuna d’onore.