Il 22 giugno 1941 Hitler diede inizio, con una forza di tre milioni di uomini, alla Unternehmen Barbarossa (Operazione Barbarossa), nome in codice dell’attacco alla Russia di Stalin. Mussolini era in vacanza a Riccione, l’ambasciatore russo in Italia stava facendo il bagno a Fregene. Dopo la tragica campagna di Grecia – che pur avendo dimostrato il valore dei nostri soldati aveva clamorosamente rivelato anche l’impreparazione del nostro esercito in equipaggiamento, armamento e intendenza – Mussolini tentava un’altra carta per farsi valere al tavolo della pace che immaginava vicina, illuso dalla strapotenza germanica.
Al riluttante Hitler aveva proposto l’intervento italiano e così il 10 luglio 1941 partirono i primi treni di soldati per il fronte russo. Una campagna, si profetizzava, di poche settimane… Il CSIR, Corpo di spedizione italiano in Russia, contava 61.700 uomini e si trasformerà presto in ARMIR, Armata italiana in Russia. Si compirà così il calvario dei nostri soldati, e delle divisioni Cuneense, Tridentina e Julia. Dei 220mila soldati (57mila alpini) ne tornarono circa 110mila (11mila alpini). Una tragedia annunciata, come si evince da due stralci del diario di Galeazzo Ciano che riportiamo:
21 giugno 1941
Numerosi sono i segni che lasciano prevedere molto prossimo l’inizio delle operazioni contro la Russia. L’idea di una guerra contro la Russia è, in sé per sé, popolare: la distruzione del bolscevismo dovrebbe essere annoverata tra gli avvenimenti di maggior momento della civiltà umana. Ma questa guerra non mi piace come sintomo, poiché le manca un motivo evidente e persuasivo: la tendenza generale di questa guerra è di essere un “faut de mieux”, il tentativo cioè di trovare una scappatoia a una situazione sfavorevole, sviluppatasi diversamente dal previsto. Quale ne sarà l’esito? I tedeschi pensano che in otto settimane tutto sarà finito, ed è anche possibile, poiché i loro giudizi di natura militare si sono sempre rivelati più esatti di quelli di carattere politico. Ma se così non fosse? Se l’esercito sovietico avesse una capacità di resistenza maggiore di quella dei paesi capitalistici? Quale effetto potrebbe avere questo sulle masse proletarie del mondo intero?
22 giugno 1941
Alle tre del mattino, Bismarck mi porta una lunga lettera di Hitler per il duce. Hitler chiarisce i motivi della sua iniziativa. Benché la lettera cominci con la solita assicurazione che la Gran Bretagna ha perduto la guerra, il tono è ben lungi dell’essere ispirato. Ne informo per telefono il duce. Che si trova tuttora a Riccione. Poi sempre nelle prime ore del mattino, cerco di mettermi in contatto con l’ambasciatore sovietico, per comunicargli la dichiarazione di guerra. Non riesco a rintracciarlo prima delle 12,30: lui e l’intero personale d’ambasciata se ne erano andati tranquillamente a fare il bagno a Fregene. Accoglie la mia comunicazione con una certa indifferenza ma questo rientra nella sua natura. La comunicazione ha luogo rapidamente, senza parole superflue. Il colloquio è durato due minuti e non è stato affatto drammatico. Domani Mussolini invierà la propria risposta a Hitler. Il duce ci tiene molto alla partecipazione di un Corpo di spedizione italiano in Russia, ma dalla lettera di Hitler risulta chiaramente che il Führer non vede la cosa troppo di buon occhio. Riccardi ha un violento scoppio di collera, pensando allo sviluppo che avranno i problemi economici, e conclude con queste parole: “L’unica cosa che potrebbe ancora sorprendermi di questo regime, sarebbe vedere un uomo incinto, tutto il resto l’abbiamo già avuto”.
Il Corpo di spedizione Italiano in Russia (CSIR)
Il Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR) nel luglio del 1941 era comandato dal generale Francesco Zingales che, ammalatosi durante il viaggio, fu sostituito dal generale Giovanni Messe. Era costituito da 2.900 ufficiali, 58.800 soldati di truppa, 5.500 automezzi, 4.600 quadrupedi, 51 velivoli da caccia, 22 da ricognizione e 10 da trasporto. Il CSIR era così composto:
- Capo di Stato Maggiore col. Guido Piacenza (poi col. Umberto Utili);
- Comandante di artiglieria di Corpo d’Armata gen. Francesco Dupont;
- Comandante Genio di C.A. gen. Mario Tirelli;
- Divisione fanteria autotrasportabile* “Pasubio” comandata dal generale di divisione Vittorio Giovanelli.
- Divisione fanteria autotrasportabile* “Torino” comandata dal generale di divisione Luigi Manzi (poi dal gen. Roberto Lerici).
- 3ª Divisione celere “Principe Amedeo Duca d’Aosta”, comandata dal generale di brigata Mario Marazzani.
- XXX raggruppamento d’artiglieria di Corpo d’Armata, comandato dal col. Lorenzo Matiotti.
- 61° Gruppo di osservazione aerea e 22° Gruppo Caccia, comandati dal col. Carlo Drago (poi gen. Enrico Pezzi).
- Intendenza speciale Est, diretta dal col. Eugenio Gatti (poi dal gen. Carlo Biglino).
- Gruppo autocarrato Camicie nere “Legione Tagliamento”, comandate dal console Niccolò Nicchiarelli.
*Autotrasportabile, nel linguaggio fascista, significava che poteva essere trasportata su veicoli, che purtroppo non c’erano.