Monte Grappa tu sei la mia Patria

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    Una solenne cerimonia all’imponente Sacrario che racchiude la storia nella quale si riconoscono tutti gli italiani

    di Vittorio Brunello

    La montagna sacra, il Monte Grappa, si erge austera dalla pianura veneta, ma vista dalla cima, in una mattina limpida come quella del 6 agosto, con l’angolazione del sole che fa brillare le anse del Piave, si mostra dolce, con i suoi verdi pascoli, il suono familiare dei campanacci e un panorama straordinario che spazia dalle cime delle Dolomiti alla laguna veneta. Lassù si sente fluire il tempo solo al presente. Non si ha la sensazione che siano passati 105 anni da quel 4 agosto che vide il cardinale Giuseppe Sarto, divenuto Pio X, salire i ripidi pendii a dorso di mulo per benedire quella statua della Madonna, diventata pochi anni dopo l’icona di tutti i soldati della Quarta Armata.

    Di questi, 12.615 riposano nel maestoso ossario che avvolge l’estremità sud del costone, ora denominato Via degli Eroi e 10.332 non hanno nome. Anche 10.295 austro ungarici, di cui 10.000 ignoti, riposano nel versante nord, rivolti alla loro patria. Neppure ci sembrano lontani 62 anni dal settembre 1944, una pagina nera della nostra storia, con il rastrellamento del Grappa conclusosi con oltre ottocento giovani caduti in combattimento, fucilati o impiccati. Il tema della guerra, della sua tragica inutilità, diventa una costante negli interventi dei numerosi oratori che hanno portato il saluto delle istituzioni: Comuni, Comunità montane, Province, Regione. La situazione del Medio Oriente e la fragilità della pace in altre aree del mondo testimoniano ancora una volta che la violenza è un seme duro a morire, come ha ricordato nell’omelia sua eccellenza Alfredo Magarotto, vescovo onorario di Vittorio Veneto.

    La cerimonia ha rivestito una solennità particolare quest’anno. Più di quaranta i sindaci presenti con i loro gonfaloni (cinque decorati di medaglia d’Oro: Università di Padova, Bassano del Grappa, Vittorio Veneto, Belluno e Treviso), oltre a prefetti, questori, comandanti delle forze dell’ordine, il col. Edoardo Maggian comandante del 7º, il vice presidente vicario dell’A.N.A. Ivano Gentili e settanta tra vessilli e gagliardetti A.N.A., per non parlare della marea di cappelli alpini. La settimana prima quattro fiaccole partite da cima Grappa avevano peregrinato per una trentina di comuni della pedemontana veneta e feltrina, sostando davanti ai monumenti dei Caduti e coinvolgendo la popolazione in cerimonie semplici ma ricche di significato.

    A Bassano, una proveniente da Campolongo aveva fatto tappa, sul far della sera, davanti al monumento dedicato ai Ragazzi del ’99, sotto lo sguardo severo del generale Giardino. Le quattro fiaccole si sono ricomposte poco prima della cerimonia, ai piedi del grande scalone dell’Ossario, pronte per accendere la fiamma sul tripode che simboleggia la continuità della vita e della memoria. In uno scenario spettacolare, che vedeva schierati sugli ampi gradini antistati al sacello, un picchetto della Julia, labari, vessili e gagliardetti di tutte le associazioni combattentistiche italiane, rappresentanze austriache, ungheresi, ceche, slovacche e germaniche con folta presenza di militari in divisa d’ordinanza e storica, enormi bandieroni, la banda austriaca S. Martin in costume, quella italiana, il coro A.N.A. Edelweiss, Croce Rossa, Protezione civile, tutte le rappresentanze d’arma in servizio, ha fatto seguito l’alza bandiera.

    Il cielo, di un azzurro come solo la montagna sa mostrare, esaltava i colori di quei simboli, italiano e austriaco, che novant’anni fa, lassù, si contrapponevano in una lotta disumana. Gli inni nazionali, ascoltati con commozione, lasciavano i pensieri in libertà. Monte Grappa tu sei la mia Patria. E lo fu nel dicembre del 1917, quando gli austriaci, superato il Piave, occupata parte del Montello, si spinsero da Feltre verso Primolano, tentando di aggirare il massiccio che ancora resisteva. Cadorna, fin dall’inizio della guerra, intuì che i pilastri della difesa della pianura veneta passavano per il Pasubio, l’Altipiano e il Grappa e predispose delle opere che consentirono di reggere l’urto formidabile di armate galvanizzate dai successi di Caporetto e consapevoli che su quel monte si giocavano le ultime speranze di piegare l’Italia. Ma furono quelli che Giardino chiamava i suoi soldatini a fermarle e a non cedere un metro di quell’arido costone.

    Si racconta che, quando sui colli che sovrastano la Valsugana, diventati leggenda, come l’Asolone, Fagheron, Beretta, Moschin e tanti altri, gli austriaci erano sul punto di sopraffare le prime linee italiane, un comandante di batteria, dall’Altipiano, accortosi che la situazione dei soldati del Grappa diventava insostenibile, girò di novanta gradi le bocche da fuoco e cominciò a sparare, prendendo alle spalle il nemico. La sorpresa allentò l’azione offensiva e l’estremo limite del massiccio fu salvo. Deferito alla corte marziale, il nostro ufficiale pare ne sia uscito con un encomio.