Montagna, patrimonio di tutti

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    L’attaccamento degli alpini alla montagna è un dato scontato. I reparti che hanno scritto pagine memorabili della nostra storia, portano i nomi di regioni, monti, valli dell’arco alpino. Lì sono stati reclutati i nostri veci. Ora non è più così. Nella seconda metà del secolo scorso nel nostro Paese un’autentica rivoluzione economica e sociale ha spopolato la montagna a favore della città e delle aree industrializzate e nell’esercito si è operata una trasformazione radicale in funzione dei nuovi compiti assegnatigli.

    Ai nostri governanti, in costante affanno a gestire il quotidiano, non si poteva chiedere che guardassero lontano, per cui la montagna è stata abbandonata al suo destino. Così è arrivato puntuale il conto, con i disastri ambientali che sono sotto gli occhi di tutti. Nel 1981 il CDN ha istituito il premio Fedeltà alla montagna. Si tratta di un riconoscimento morale, tenuto conto che l’assegno in palio non cambia la vita di nessuno, a testimonianza della vicinanza dell’ANA a chi è rimasto fedele alle sue origini, ne perpetua il modo di vivere, conserva antichi mestieri e custodisce la saggezza millenaria.

    Un modo di dire grazie riunendo attorno ai premiati la grande famiglia alpina in una festa che vuole essere un importante momento associativo, trattandosi di una manifestazione considerata seconda solo all’Adunata nazionale. Quest’anno, nella ricorrenza del 90º della fine della Prima Guerra Mondiale, la Commissione guidata da Marco Valditara ha pensato di dare una svolta nella scelta dei destinatari del premio.

    Non più singoli o cooperative che operano in montagna, ma sezioni ANA che da decenni, sui teatri di guerra delle nostre Alpi, si dedicano al recupero delle testimonianze più significative trincee, gallerie, posti di osservazione, batterie in caverna di un conflitto spesso vissuto in condizioni estreme. Ne è uscito uno spaccato di elevato interesse storico e documentale sulla vita dei nostri soldati, costretti a combattere in località di grande suggestione paesaggistica ma che imponevano modalità difensive e offensive assolutamente originali e ingegnose. É la riscoperta della montagna in chiave storica, più rispondente agli interessi di un largo pubblico che ama frequentarla.

    Sono soprattutto giovani, attratti dalla bellezza dei paesaggi, che ripercorrono gli itinerari dove hanno combattuto i loro nonni e apprendono vicende raccontate non dai libri, ma dai luoghi in cui sono accadute. Luoghi a volte sconosciuti ma assolutamente straordinari per bellezze naturali e importanti opere militari, oppure luoghi mitici che, solo ripercorrendoli ripristinati e leggibili nella loro funzionalità, possono darci un’idea di come centinaia di migliaia di giovani abbiano potuto vivere per anni in condizioni climatiche ed ambientali proibitive.

    Un ritorno possibile alla madre degli alpini che dovrebbe trovare finalmente supporto in una legge quadro di interesse nazionale, con il coinvolgimento di militari in armi, istituzioni scolastiche, agenzie di promozione turistica, allo scopo di valorizzare un patrimonio storico ambientale educativo unico al mondo. Qualche intervento in questa direzione è già in atto. Ora occorre arrivare ad una scelta coraggiosa. Gli alpini hanno fatto la loro parte, in termini di recuperi, di pubblicazioni, di diffusione della cultura alpina, coerenti con il comandamento della memoria. Continueranno a farlo. Non possono e non devono però portare da soli, nello zaino, un patrimonio che è e dev’essere di tutti.

    Pubblicato sul numero di settembre 2008 de L’Alpino.