Mio nonno e il Soldato senza nome

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    Una corona d’alloro in ferro battuto era stato il dono di mio nonno per il loculo del Soldato senza nome, posto lì fra altri soldati che avevano lasciato la loro vita sui campi di battaglia. Mio nonno era tornato alla sua famiglia segnato nel corpo e nell’animo; morto qualche anno dopo aveva chiesto di essere sepolto in mezzo a coloro che avevano patito le stesse sofferenze, proprio accanto al Soldato senza nome. Così, quando da bambino andavo con mia mamma a trovare il nonno, imparai che esistevano Caduti un po’ speciali, morti senza essere riconosciuti, senza nome. Immaginavo campi di battaglia, imprese eroiche, gesta leggendarie.

    Con il trascorrere degli anni, mi sono più volte domandato la ragione di quelle vite spezzate, pensando alle conseguenze tragiche che avevano avuto sulle famiglie e pregavo, così come mi era stato insegnato, ponendo un fiore in segno di rispetto. Nel tempo, uno ad uno, quei loculi sono stati svuotati per lasciare il posto ad altre salme; un comune destino toccato anche al Soldato senza nome. Se n’è andato, spostato da qualche parte, lasciando mio nonno solo. Il destino, spesso più abile di noi nelle scelte, ha voluto che proprio ora, nel centenario della Grande Guerra, fossi io il Presidente del Centro Studi Ana e che il nostro progetto più grande e ambizioso, fosse proprio quello di dare un volto e una identità ai nomi dimenticati, incisi sui monumenti dei nostri paesi e delle nostre città.

    Ciò che vorrei di più, è che i ragazzi si appassionassero a questa ricerca e provassero le stesse sensazioni che sentivo io quando, con mia mamma, pregavo sulla tomba di mio nonno e del Soldato senza nome. Sono convinto che le storie dei nostri Caduti, i sacrifici e le sofferenze delle famiglie coinvolte vadano riconosciuti per essere compresi e rispettati. È un patrimonio fatto di memoria e di valori capace di migliorare noi stessi e la nostra vita.

    Mariano Spreafico