MILANO – Il tempo si ferma con Olivelli

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    A Vigevano, come in tante altre parti d’Italia, abbiamo ricordato Teresio Olivelli nel quinto anno dalla sua beatificazione, avvenuta il 3 febbraio 2018. In una solenne celebrazione eucaristica nel Duomo di Vigevano, presente una robusta rappresentanza di alpini con vessilli e gagliardetti, il vescovo mons. Gervasoni ha riflettuto su come la figura di Olivelli possa “fermare il tempo”, rendere cioè attuale il suo messaggio attraverso di noi (nella foto). Olivelli è un personaggio profondo che genera fermento, non tranquillità. Aveva ventinove anni durante il fascismo, periodo in cui eri o dentro o fuori. Cattolico, studente generoso e animoso, profondo dissertatore, fine laureato, vincitore del Littorio, funzionario del partito nazionale fascista, alpino, rettore del Ghisleri, di nuovo alpino, internato, partigiano, redattore di un giornale clandestino, deportato. Morto in un campo di concentramento.

    Olivelli era uno dentro le cose, non sopportava posizioni emarginate, andava dove necessario, mosso da autentici sentimenti cristiani. Olivelli era nel fascismo ma non fu fascista, lo testimoniano le sue scelte e le sue azioni. Partire volontario con gli alpini per la Russia lo cambia, capisce come tanti altri l’aberrazione a cui ti porta l’ideologia totalitaria. Ma il suo senso di sacrificio non si esaurisce nella ritirata di Russia: al ritorno viene nominano rettore del Ghisleri, il suo sogno, il più giovane rettore d’Italia. Dopo tre mesi, rinuncia per tornare con i suoi alpini fino all’8 settembre, quando li incoraggia a non passare con i tedeschi. Internato in Austria, fugge per poter essere utile all’Italia: a piedi arriva a Udine, e poi a Brescia nella resistenza cattolica. Faceva il cursore, faceva da collegamento tra Brescia, Milano, Bergamo, Cremona e l’Alta Valcamonica, in bicicletta. Invitava ad un risveglio della coscienza, all’impegno, “non esistono liberatori, ma popoli che si liberano” senza odiare i nemici.

    Il suo epilogo la delazione, San Vittore, Fossoli, Gries-Bolzano, deportato in Germania, Flossenburg e Herrsbruck. Pagine intense fatte di perdono, torture, preghiera, rifiuto di chiedere aiuto ad amici influenti, consolazione a chi stava peggio, testimonianza di generosità, carità, eroica dignità umana. Gli alpini, la gente, il popolo italiano, ne serba memoria e gli ha dedicato scuole, vie e luoghi pubblici. È stato decorato con medaglia d’Oro al Valor Militare nel 1954. La figura di Olivelli induce alla riflessione, a un esame di coscienza sul nostro operato, consapevoli che ogni scelta comporta impegno e costi. Sentirsi italiani non per nascita, ma in quanto animati dallo stesso spirito, non inerti, ma vivi, operosi, pronti a mettersi in discussione per quell’Italia “severa e generosa” auspicata da Olivelli. Siamo noi alpini che abbiamo contribuito alla sua beatificazione, diventa un impegno per noi scrivere con la nostra vita il seguito di quella di Olivelli.

    Renzo De Candia