Le lacrime del Vecio

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    Per un profano l’Adunata Nazionale potrebbe sembrare sempre uguale: un’interminabile sfilata di uomini con il cappello alpino, un fiume verde che per due o tre giorni sovverte il normale andamento della quotidianità della città prescelta. Eppure per noi è sempre un’esperienza unica e ci lascia sensazioni, emozioni e ricordi irripetibili. Non si può capire, non è possibile dare una spiegazione razionale, almeno per me.

    È così e basta. Bisogna viverla per rendersene conto. Questa di Cuneo difficilmente si cancellerà dal mio cuore e non solo per l’immensità della sfilata e per l’esibizione di compattezza che l’Associazione ha saputo dare ancora una volta. Questa volta la ricorderò per le lacrime di un vecio, di un uomo che ha visto tutto: la guerra più dura al quadrivio della morte di Selenyj Yar, l’invasione di Rossosh da parte dei Russi, l’infinita tragedia della prigionia più dura sopportata per quattro interminabili anni. Un uomo così di emozioni ne ha avute talmente tante che pensavo nulla potesse sconvolgere di nuovo il suo animo al punto di trascinarlo al pianto.

    Eppure quest’uomo, due medaglie di bronzo appuntate al petto, è stato chiamato a reggere per qualche minuto il Labaro Nazionale durante la sfilata. Ha lasciato il bastone cui suole appoggiarsi, ha infilato i guanti bianchi con lo sguardo di chi è perfettamente consapevole dell’importanza del gesto. È salito sulla pedana e con la delicatezza che si riserva solo alle cose più preziose ha appoggiato timidamente le mani sull’asta impugnando il simbolo del valore alpino. I suoi occhi si sono illuminati e il suo sguardo si è fatto grave. È rimasto immobile a reggere il Labaro osservando la sfilata che gli scorreva innanzi agli occhi.

    Non credo nemmeno che abbia sentito lo speaker annunciare l’evento e l’ovazione che il pubblico gli ha tributato con un imponente applauso. Chissà a cosa avrà pensato. Quali ricordi gli si saranno affacciati alla mente, quali dolori e quali speranze. Poi, dopo una decina di minuti è stato sostituito e con la stessa delicatezza con la quale lo aveva impugnato ha affidato il Labaro ad altre mani. Si è voltato, è sceso dalla pedana, ha ripreso il bastone ed è scoppiato in un pianto liberatorio. ‘Un uomo non deve piangere. Un alpino non deve piangere…’ mi ha detto mentre lo abbracciavo.

    Non ho saputo rispondergli, e con le lacrime agli occhi a mia volta, gli ho detto semplicemente: Grazie! . Solo gli uomini veri sono capaci di provare sentimenti così intensi e di lasciarli fluire senza pudori. E tu, caro Carlo, sei di certo un grande uomo ed un Alpino come pochi altri.

    Cesare Lavizzari