Le fragilità dei grandi

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    Mi riferisco all’articolo su Walter Bonatti: come alpinista non ho nulla da obiettare, è stato un grande dell’alpinismo italiano e mondiale davanti al quale m’inchino umilmente; come alpino invece ho qualcosa da dire perché riguarda direttamente la mia persona e quella di due alpini della mia cordata. Ecco il fatto.

    Nell’estate del 1960 ero un giovane istruttore militare di alpinismo presso il corso roccia della brigata Taurinense in Val Veny; il comandante del corso capitano Zucchi decise di attaccare il Monte Bianco attraverso tre vie con alcune cordate. Quelli che sarebbero saliti dalla via più facile sarebbero dovuti scendere dalla via più difficile. Io con il capitano Zucchi e una cordata di alpini salimmo lungo il via Bionnassay e arrivammo il mattino seguente in cima al Bianco dove si scatenò una brutta bufera di neve con nebbia fitta. Walter Bonatti era stato incaricato di fare da guida in salita e in discesa sulla via più difficile e io, che non conoscevo la via, dopo breve tempo non vidi più Bonatti, ma riuscii a cavarmela da solo con i due alpini altoatesini abbastanza esperti. Sull’imbrunire il tempo si era rischiarato ed ero finalmente in cima in vista del rifugio Torino dove rividi la giacca gialla di Bonatti, il quale, forse preso dal rimorso, si era fermato ad aspettarmi ed era anche alquanto contrariato. Gli feci notare che ormai non avevo più bisogno di lui perché al rifugio Torino, anche nottetempo (arrivai alle 23) sarei arrivato ugualmente. Invece era lassù che avrei avuto tanto bisogno della sua esperienza e conoscenza del percorso. Ho rivisto Bonatti alcuni anni dopo a Belluno dove era venuto a tenere una conferenza: mi riconobbe e volle ritornare sull’argomento per chiedermi scusa… meglio tardi che mai.

    Gen. D. Guglielmo De Mari, Castion (Belluno)

    Anche i grandi hanno diritto ad avere le loro fragilità e questo ce li fa sentire più umani e vicini.