Antonio Lovisi aveva due passioni: la nipotina Marina, nata due anni fa, e la Russia. La nipotina era la sua gioia, per la Russia nutriva lo stesso sentimento dei pellegrini per la Terrasanta: considerava un impegno da assolvere la visita ai luoghi del calvario degli alpini, calpestare la terra che avevano percorso settant’anni prima migliaia di nostri soldati mandati allo sbaraglio, in un paese sconfinato, dalla vanagloria folle d’un dittatore.
La sorte ha voluto interrompergli il viaggio tanto desiderato, proprio come accadeva non raramente mille anni fa a tanti pellegrini cui non era dato di giungere a destinazione. Unitosi con il figlio Alessio alla comitiva dell’ANA guidata dal presidente nazionale Favero diretta a Rossosch nel ventennale dell’asilo costruito dagli alpini per onorare i nostri Caduti, Antonio si è sentito male durante una cena con altri alpini in un ristorante di Mosca: ha perso i sensi, non si è più riavuto. È spirato il giorno dopo, fra lo sgomento di tutta la comitiva alpina e lo strazio del figlio Alessio.
Ai funerali, il 21 settembre, c’era tanta gente, non solo gli alpini di Sardegna, ma anche quelli giunti dalla Sezione di Padova, con i quali era legato. “Ha dato sempre tutto – dice Alessio Fontecchio, che sta facendo le veci di Antonio come capogruppo – pensava sempre agli altri”. Una vita esemplare, che rivela un grande alpino capace di affrontare i sacrifici che la vita impone, guardando al futuro. A 17 anni lasciò la natìa Sassari e grazie ad una borsa di studio frequentò a Torino la scuola allevi della Fiat: di giorno lavora in fabbrica, di notte studia fino al conseguimento del diploma di perito elettronico. In questo stesso istituto incontrò Cesare, che sarà poi il suo “vecio” durante la naja.
Alla SMALP di Aosta frequenta il 47° corso AUC, da sottotenente è al 4° Reggimento, battaglione Susa. Nel 1977 – dopo aver viaggiato a lungo in mezza Europa – ritorna a Sassari dove sposa Giovanna e fonda un’azienda che si occupa della vendita e riparazione di bruciatori e caldaie e che oggi conta una trentina di dipendenti e dove lavorano la figlia Tersilla e il figlio Alessio che lentamente inizia a dirigere l’azienda. Il tempo che non dedica ogni giorno alla sua amata nipotina, Antonio lo riserva agli alpini ed al ricordo dei Caduti.
Ripristina nel 2006 il monumento ai Caduti di Dorso, che era andato in rovina ed alla cui inaugurazione saranno presenti tutte le autorità del territorio. Ad Alghero realizza un altro monumento alla memoria della Medaglia d’Oro al Valor Militare tenente Ivone Scapolo. “Si era quasi del tutto ritirato dal lavoro, voleva dedicarsi alla nipotina e alla moglie Giovanna, ma non era venuto meno il suo entusiasmo che era davvero contagioso – dicono i suoi alpini – Come capogruppo organizzava tante attività, dal servizio d’ordine in occasione di ricorrenze, alla commemorazione dei Caduti, all’accoglienza degli alpini sardi in licenza dalle missioni all’estero.
Fra le ricorrenze gli era particolarmente cara quella di Nikolajewka perché, come ricorda il figlio Alessio “diceva che un conto è ricordare i Caduti in Italia e un altro è andare a visitare i luoghi in cui si sono sacrificati in tanti…”. Si comprende così la sua cura per i monumenti e la necessità di non dimenticare. Per questo ha intrapreso quello che sarebbe stato il suo ultimo viaggio. Ma era assiduo anche nella solidarietà, con la Protezione Civile e soprattutto l’assistenza ai bisognosi, con la raccolta di fondi, di generi alimentari di prima necessità “tanto – dicono chi lo conosceva – da restare nel cuore e nelle preghiere di tanti parrocchiani del territorio…”. Aiutava sempre con il sorriso quasi dipinto in volto, con quella spontaneità e disponibilità che sono proprie degli animi gentili. Da Alpino. (ggb)