Quando cala la sera, su al Passo Fedaia, l’aria sembra prendere un sapore diverso, tutto particolare rispetto al resto delle Dolomiti. È aria gelida, profumata di ghiaccio, e non ha niente a che vedere con quella che si respira sulle aride cime circostanti. La Marmolada è il centro dei Monti Pallidi, non per altro è chiamata la “Regina delle Dolomiti”, eppure, qui, sotto questo ghiacciaio è come se fossimo in un altro angolo delle Alpi.
L’aria punge, ed è più simile a quella che si respira sulle Occidentali, sul Bianco, sul Rosa. E ciò, ovviamente, è dovuto al ghiacciaio che avvolge il lato settentrionale della grande montagna di roccia calcarea. L’ottanta per cento di questo grande ghiacciaio – l’unico vero delle Dolomiti – sgorga nel bacino dell’Adige, il venti in quello del Piave. Da una parte, l’acqua della Marmolada va dunque verso il Trentino, l’antica terra dei principi vescovi, degli imperi continentali e dello speck; dall’altra, oltre la grande parete che precipita sulle valli di Contrin e d’Ombretta, cala verso il mondo cisalpino del Veneto, il preludio al Mediterraneo e della Serenissima. Ma stando qui, di fronte all’insieme dei vari circhi, dei seracchi, delle creste rocciose come il Sasso delle Undici e il Sasso delle Dodici, delle lingue e delle fronti di ghiaccio bisognerebbe immaginare come cento anni fa, durate la Prima guerra mondiale, questo ghiacciaio fosse molto più esteso.
Quasi il doppio di come è oggi! E, ancora di più, era esteso nel passato remoto. Nel 1774, quando per la prima volta veniva disegnato su una carta (l’Atlas Tyrolensis di Anich e Huber) sotto la scritta “Marmolata Vedretta”, questo ghiacciaio misurava 495 ettari: 136 anni più tardi, nel 1910, si era già ridotto a 392. Poi, negli anni Sessanta del Novecento, il ghiacciaio era arrivato a 305 ettari e oggi si stima ben al di sotto dei 250. Ma la massa glaciale ha mantenuto comunque una notevole imponenza, soprattutto sotto lo sguardo del viaggiatore che sulle Dolomiti non si aspetta di trovare tanto bianco, tanta luce abbagliante: si sviluppa in lunghezza per circa millecinquecento metri, fino ai 3.200 metri di quota, e il suo fronte (compreso l’attaccato Ghiacciaio di Vernel) è largo poco meno di cinque chilometri.
La Marmolada, lo abbiamo detto, è il cuore delle Dolomiti, un cuore conteso dove la storia è passata spesso lasciando il suo ricordo peggiore. Guerre, controversie amministrative, contrasti si sono consumati sopra e sotto la superficie di questo ghiacciaio. Dentro le sue gelide viscere, un secolo fa si estendeva la Eisstadt, la “Città di ghiaccio”: dodici chilometri di gallerie e sale stipate dai soldati dell’aquila bicipite. Magazzini per munizioni, infermeria, mense, sala di comando, bar ufficiali, tutto con cinquanta metri di ghiaccio sopra la testa per nascondersi dall’artiglieria degli italiani. Ma niente rimane nel ghiaccio del capolavoro del tenente-ingegnere dell’Impero Leo Handl che costruì la Eisstadt con mine, picconi e centinaia di soldati. Gli effetti dello sparo in quel 28 giugno 1914 a Sarajevo si vedono ancora sulla giubba macchiata di sangue che fu dell’arciduca Francesco Ferdinando e che oggi è custodita in un Museo di Vienna. Ma niente, paradosso della storia, è rimasto della città di ghiaccio che ne fu una conseguenza diretta. Sciolta, sprofondata, colata nell’Adige e nel Piave.
Non una goccia di sangue è rimasta di quei cinquemila soldati caduti sul ghiacciaio nel giro di sessanta giorni alla fine del 1916 (tremilacinquecento italiani e millecinquecento austriaci). Cinquemila soldati… un numero asettico che non dice molto? Proviamo però a pensare che se quei cinquemila soldati si tenessero per mano formerebbero una catena umana che farebbe su è giù senza interrompersi almeno per tre volte lungo il Ghiacciaio della Marmolada. Da quasi un quarto di secolo, di quella guerra dentro il cuore della Marmolada e del “ghiacciaio in fiamme” si può saperne qualcosa di più prendendo la funivia che parte da Malga Ciapela e arriva a Punta Rocca. Bisogna fermarsi alla stazione di Forcella Serauta dove c’è un illuminante museo inaugurato nel giugno del 1990 grazie al lavoro di un farmacista ed ex dirigente delle funivie Tofane & Marmolada Spa.
Quando andò in pensione nel 1986, Mario Bartoli si diede da fare e dopo quattro anni ottenne un finanziamento di 120 milioni di lire e uno spazio al coperto dalla società delle funivie. Poi mise insieme centinaia di cimeli, risultato delle ricerche sul ghiacciaio. Oggi, con il bel tempo, dalla grande vetrata del museo si domina un paesaggio abbagliante di luce e di inimmaginabile bellezza. Gli occhi abbracciano una buona porzione di Dolomiti proprio dove tuonava il fronte della Grande Guerra. Bisogna sforzarsi e assecondare l’effetto per vedere il teatro delle operazioni: certo, allora tutto quell’asfalto che abbraccia le montagne non c’era, così come gli impianti di sci, e il Ghiacciaio della Marmolada era ben più vasto di oggi. Ma quello è esattamente il luogo dove si fronteggiarono italiani e austriaci, fin sul labbro superiore della montagna, la cresta oltre la quale precipita la parete sud.
Nell’itinerario che qui consigliamo, si raggiunge un superbo belvedere affacciato proprio sulla parete sud. Dalla Cima d’Ombretta è possibile osservare i passaggi delle centinaia di cordate che ogni estate percorrono gli itinerari alpinistici. E chiudendo gli occhi, e sentendo l’odore del ghiacciaio, si può forse immaginare cosa voleva dire vivere per mesi nelle sue viscere.
Marco Albino Ferrari
Periplo della Cima orientale d’Ombretta (3.011 m)
Dal rifugio Contrin si seguono i cartelli segnavia contrassegnati dal n° 607, in direzione del Passo delle Cirelle. Risalendo la Val delle Cirelle si transita sotto il versante ovest della Cima d’Ombretta Occidentale alternando prati a distese di ghiaia. Raggiunto un bivio segnalato (n° 612b) si prosegue a sinistra in direzione del Passo d’Ombrettola, e si aggira verso destra un risalto roccioso per arrivare a un altro bivio. Si segue l’indicazione verso sinistra (segnavia n° 650), e imboccando il sentiero per ghiaie e attraversando un tratto di grossi massi ci si porta sotto il muro che sostiene la Vedretta del Vernale. Qui inizia la ferrata, con una serie di paretine appoggiate e alternate a qualche canalino, che portano alla base di una pancia rocciosa.
La si aggira salendo a sinistra e si traversa facilmente alcuni metri sopra di essa lungo una cengetta rocciosa che porta alla base di un lungo canale diagonale; lo si risale facendo attenzione ad alcuni tratti con fondo detritico, fino a un traverso verso destra su zolle erbose che porta alle ghiaie sommitali di un’ampia sella dove terminano gli infissi. Si risale la pietraia, seguendo i segni di vernice rossa e i numerosi ometti di pietre, fino a un traverso verso destra che porta alla sella tra la Cima di Mezzo e la Cima Orientale. Piegando a destra per una traccia tra ghiaie e roccette lungo la cresta si perviene in breve alla Cima d’Ombretta Orientale (3.011 m).
La discesa avviene sul versante opposto: si rientra alla sella proseguendo in cresta verso la Cima di Mezzo. Per tracce di sentiero e camminamenti di guerra si scende rapidamente verso nord, raggiungendo una zona di placche rocciose che si scendono servendosi di un cavo metallico. Raggiunti il bivacco Marco dal Bianco (2.727 m) e il Passo Ombretta (2.702 m), si piega a sinistra in discesa (segnavia n° 610) immettendosi nel sentiero proveniente dalla Forcella Marmolada e raggiungendo nuovamente il rifugio Contrin (2.016 m).
ITINERARIO
Punti d’appoggio e partenza: rifugio Contrin (2.016 m) Arrivo: Cima d’Ombretta Orientale (3.011 m) Dislivello: 1.000 m Durata: 5/6 h Difficoltà: EEA (escursionisti esperti-alpinisti).