Era il 1955. La guerra era finita da dieci anni, ma le ferite bruciavano ancora. In un freddo giorno di dicembre, al civico tempio di San Sebastiano, padre Giovanni Brevi celebrava la prima funzione per i Caduti. Tutti i Caduti, comunque fossero stati inquadrati. A volere la cerimonia un giovane avvocato, sottotenente degli alpini, battaglione L’Aquila, divisione Julia. Si chiamava Giuseppe Prisco. Il Peppino, il nostro Peppino. Se ne è andato ormai da quindici anni, era la notte del 12 dicembre 2001. Parlando della Messa una volta mi disse che «a quella prima celebrazione i presenti erano poco più di cinquanta… non solo alpini, ma anche bersaglieri, fanti, artiglieri…».
Lì, fuori dal tempio civico, in quella fredda mattina di sessantuno anni fa, Peppino decise che avrebbe replicato ogni anno l’evento, sotto lo sguardo sorridente di don Brevi. Ma già nel ’60 il tempio di via Torino si rivelò troppo piccolo per accogliere la moltitudine di cittadini milanesi che aveva cominciato ad assistere, silenziosa, rispettosa e partecipe, a quella cerimonia nel ricordo dei fratelli caduti, così fortemente voluta degli indomabili soldati con la penna.
E cominciarono a sfilare anche per le vie di Milano, con una prima banda degli alpini cremaschi, poi via via con bande e fanfare accorse di anno in anno a rimpolpare le fila. E il Trentatré prese ad affascinare anche i milanesi, popolo generoso, sempre costantemente di fretta che si fermava ad osservare sorpreso, ad applaudire con il sorriso. Poi la Messa si spostò a San Carlo, in fondo al Corso, fino a quando, negli anni ’70, approdò in Duomo. Ed è lì, ancora oggi, la seconda domenica di dicembre che tutto accade, sotto al cartellone voluto dal Peppino “a suffragio di tutti i Caduti, in tutte le guerre”.
Su quel sagrato la folla è aumentata con il passare degli anni, ci sono stati momenti indimenticabili e la Storia (quella con la “s” maiuscola) è passata di lì. E persino il 25 ottobre 2009, al momento della canonizzazione di don Carlo Gnocchi (che per noi è e resta don Carlo), sembrava fosse Natale tanto la presenza degli alpini era ormai abituale su quel sagrato che guarda alla Cattedrale, simbolo di una terra meravigliosa. Ogni volta, ogni anno, i ricordi si susseguono veloci e tumultuosi; su tutti prevale la voce stentorea e appassionata di Peppino, che dopo la Messa arringava la folla felice, non risparmiando frecciate e consigli al ministro della Difesa di turno, e ai politici vari, locali e non, sempre più “presenti” vista l’affluenza!
La prima Messa senza la voce del Peppino, a pochi giorni dalla sua morte, ha lasciato tutti noi tristemente stupiti e da quella volta, anche lui, è diventato uno dei nostri fratelli “andati avanti” che ci piace immaginare nel Paradiso di Cantore, a vegliare su questa nostra sempre più smarrita, eppure mai doma Italia. Ed è proprio grazie al Peppino se a Natale, Milano si veste di verde bianco e rosso, si anima con la musica della marcia degli alpini, se tra le vie risuonano i tamburi delle fanfare. E quest’anno grande affluenza, anzi grandissima.
Piazza gremita, Duomo stracolmo, alpini in armi e in congedo fieri e commossi, milanesi accoglienti e partecipi. E a correre tra le navate, la voce del generale degli alpini, medaglia d’Argento al Valor Militare, Luigi Morena, classe 1917 che ha recitato la Preghiera dell’Alpino. Con la dolcezza e la solennità di un padre, che rivolgendosi a Dio e a Maria, prega per i suoi figli.
Davanti a lui, oltre 50 vessilli e 350 gagliardetti a far da scorta al Labaro, con il Presidente Sebastiano Favero, il Consiglio Direttivo Nazionale e il comandante delle Truppe Alpine, generale Federico Bonato. Poi, fuori sul sagrato illuminato da un sole timido che taglia la foschia, l’intervento del Presidente della Sezione di Milano Luigi Boffi, che ha reclamato il diritto dei nostri giovani a servire la Patria. Per noi fu un dovere e un onore, per loro oggi è un diritto che non deve e non può essere negato.
Poi tutti verso Sant’Ambrogio, per l’onore ai Caduti. Sfilando per una Milano sorridente e solidale. Ieri, nel 2016. E così da oltre 60 anni.
Manuel Principi
emanuele.principi@difino-associati.it