L’ANA: appartenenza e condivisione

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    Sono un alpino iscritto al Gruppo del mio paese, Pederobba, in provincia di Treviso. Qualche tempo fa sono venuti a mancare nel mio paese tre reduci alpini combattenti dell’ultima guerra in Grecia e Albania, due dei quali hanno anche sofferto le pene della prigionia. Nonostante si potesse leggere loro in faccia la tristezza e la paura per gli orrori vissuti, hanno sempre mantenuta integra e viva la fede alpina.

    Alla celebrazione dei loro funerali mi aspettavo di vedere la partecipazione e la presenza degli alpini: con mio profondo sconcerto, invece, né un cappello alpino, né uno squillo d’attenti, né la preghiera. A mio giudizio, una cosa vergognosa. Qui si continua ad erigere monumenti, ricordare i Caduti, commemorare i fatti storici: tutte cose giuste e doverose. Ma non sarebbe stato giusto e doveroso onorare con una presenza tangibile anche quei tre alpini “andati avanti”? Quando ho richiesto dei chiarimenti al mio capogruppo e ai consiglieri, mi è stato riferito che se non si è iscritti con tanto di tessera al gruppo non si è considerati alpini. In effetti i tre alpini defunti, che hanno combattuto contribuendo a costruire la storia del nostro Paese e l’onore della nostra Associazione, non hanno mai voluto iscriversi al Gruppo. Ma può questa essere una motivazione sufficiente per giustificare quella che per me è stata una grave mancanza?

    Valerio Suman

    Caro Valerio, è vero che non è necessaria la forma per esprimere riconoscenza a chi ha sofferto e pagato le pene della guerra. Gli uomini e gli alpini sono tali anche senza tessera. Ma è pur vero che l’appartenenza formale all’Associazione mette in moto quei meccanismi relazionali e di vicinanza, che ci aiutano a condividere le nostre vicende, in vita ed in morte.