L’8 Alpini rientra dalla Bosnia

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    E’ avvenuto lo scorso 19 marzo. Il comandante col. Villi Lenzini racconta i 4 mesi in Bosnia Erzegovina.

    Lo scorso 19 marzo l’8 reggimento Alpini di stanza a Cividale del Friuli rientrato a casa dopo 4 mesi di lavoro in Bosnia, inquadrato nella brigata multinazionale Sud Est a comando francese. A dargli il cambio, il 14
    reggimento Alpini, comandato dal colonnello Franco Primicery.
    Il comandante dell’8 Alpini, il colonnello Villi Lenzini, ha fatto il bilancio della missione: dalla distribuzione di beni di prima necessit alla popolazione bisognosa, alle attivit di sminamento e di recupero di armi e munizioni,
    al corso di professionalizzazione per i militari di tutte le etnie, per citare solo alcuni degli interventi effettuati. Senza dimenticare che gli alpini e i reparti logistici dell’8 reggimento hanno dovuto lavorare nei quattro mesi invernali pi rigidi da qualche anno a questa parte.

     

    Nel giorno in cui lascio la terra di Bosnia e tutto si riduce al piccolo spazio dell’obl di un aereo, non posso evitare di riflettere sul come, il quando e il perch questa terra sia in modo cos ricorrente diventata il centro di gravit e di equilibrio dell’Europa centro orientale. Una risposta semplice nel suo modello di memorizzazione l’ho trovata e fatta mia fra le pieghe dei discorsi da un
    lato sofisticati, di alto livello politico e dall’altro povero e derelitto dei campi profughi. La sintesi delle sintesi. La Bosnia una terra, in cui sussistono due stati; abitati da tre etnie appartenenti a quattro religioni, dove cinque
    livelli di potere dovrebbero far coesistere in pace sei milioni di persone. Quante combinazioni possibili?Quante situazioni diverse?E in mezzo a noi, noi soldati italiani con la determinatezza di chi la pace la vive nelle proprie case e la desidera anche per gli altri. Considerazioni e bilanci appaiono a volte inutili a volte ingiusti ma si devono pur fare per dare certezza alle proprie azioni e credibilit alle organizzazioni che qui lavorano prime fra tutte le Forze Armate, impegnate in un lavoro improbo, quasi insostenibile, per ridare a questa terra pace e democrazia. Alpini dell’8, giovani volontari guidati da altrettanto
    giovani ufficiali inferiori ma sostenuti dall’esperienza di ufficiali superiori paterni, ricchi dell’esperienza sedimentata, ripetuta, insostituibile insomma. Lavoro duro quello dei peace keepers, s, cos ci chiamano, un nome nuovo moderno per un soldato nuovo e moderno coniato per un mestiere antico, quello del soldato, ma una differenza c’ e grande tra ieri e oggi, non solo nel mestiere.
    Oggi affidato a giovani volontari specializzati, anche nella sostanza, perch se un tempo si combatteva per far la guerra, oggi si combatte per fare la pace e non poco. Tra i tanti materiali caricati sui mezzi da combattimento
    oggi qui c’ sempre un carico di viveri e vestiario in un inverno che per i profughi sempre troppo lungo e freddo. E’ l’operazione S. Martino, inventata dagli alpini: ogni pattuglia fa come il Santo Soldato, offre il suo dono lungo la strada, la strada del dovere cos pericolosamente percorsa.
    Il mare scorre veloce, sotto l’obl dell’aereo e la sua tranquilla discesa fa pensare ancora alla pace, la pace ricercata con la volont decisa di chi come noi ha richiesto con fermezza ma a volte anche imposto la riconsegna di tutti gli strumenti di morte, fucili, pistole, esplosivi, bombe, cannoni, mitragliatrici, una quantit enorme distrutta utilizzando anche lo schiacciasassi del plotone Genio. Tutto serve per la pace: da un lato si costruisce una strada, dall’altro si schiacciano i fucili. La terra ricompare oltre l’Adriatico, la terra che da noi
    produce il grano in Bosnia nasconde le mine, milioni di mine. Il lavoro quello dei migliori sminatori del mondo: gli italiani. Un tremolio, inizia la discesa verso l’aereoporto, siamo a casa, un applauso degli alpini, una liberazione dopo quattro mesi d’intensa attivit operativa di continuo stress psicofisico, di famiglie lontane, di amori sognati e di voci amiche udite solo al telefono. L’abbraccio dei propri cari ci fa dimenticare tutto tranne una cosa, quanto sia brutta la guerra. Per questo ci chiamano i Peace keepers. Felici di poter dire a Sarajevo, a Pale, a Rogatica, a Gorazde c’ero anch’io.

     

    Col. Villi Lenzini
    Comandante dell’8 Alpini