Sono la madre di un soldato, uno di quelli della guerra vera, la guerra in Afghanistan. Partito, tornato; ripartito, ritornato. Il suo silenzio a proteggerci dalla paura, dal senso di inutilità e impotenza, dal nulla che avevo il diritto, la capacità di sapere su quei suoi “viaggi”, buchi neri di sospensione della sua e della nostra vita.
Un silenzio denso, pieno di sentimenti forti, carico di emozioni struggenti, di pudore, di tenerezza reciproca, di nostalgia e di orgoglio. Un silenzio che vaga anche in casa, riempito ogni tanto da sguardi furtivi, da eloquenti abbracci tra suo padre e me. Un silenzio segretamente concordato: non mi chiedere nulla, mamma; non mi dire nulla figlio. Parlarne non servirebbe a sciogliere l’angoscia; raccontare non basterebbe a condividere, ad alleggerire la scia di dolore per quello che chissà cos’ha vissuto laggiù, coperto da quel velo impermeabile di sabbia sottile e crudele. Una sabbia che tutto ricopre e fa tutti uguali, senza più colore. Quel velo che in qualche modo continua a nascondere una parte profonda di lui, che le parole non riuscirebbero a spiegare. Cosa vuoi che ti dica, madre, cosa vuoi sapere? Se ho paura? Se sono in pericolo? Se sto bene? E poi così al telefono, lì come una scema, a far finta che lui sia qui a pochi chilometri, a non sapere cosa dire, troppe sarebbero le cose che mi riempiono l’anima. Le notti intanto passano a cacciare fantasmi, a pensare a quel nulla che non conosco. Scene si accavallano immaginandolo in pericolo, immaginandolo a ridere con i suoi compagni, immaginandolo come in un film. Ma non è un film, è tutto vero e anche peggio. E quando arriva la notizia della bomba, del lince esploso, dell’agguato, il fiato si fa corto, il cuore rallenta fino a perdere colpi, la mente confusa non controlla più le emozioni, finora educate e contenute. Finché, misericordioso, lui che sa, invia un breve, potentissimo messaggio: “Non vi preoccupate, sto bene, io sto bene”. Mi vergogno un po’ di quel sospiro di sollievo; non è lui, neanche stavolta è lui. Mi concedo il lusso di piangere di pietà per altri. Se sono sopravvissuta, più o meno sana, a tanta angoscia è grazie al suo silenzio, grande gesto d’amore. Questo è il mio eroe.
Maria Grazia Ometto Beccegato – Arsego (Padova)
Cara e gentile signora, ho chiuso la lettura del suo scritto con la pelle d’oca e le lacrime agli occhi. Lei ha un grande merito, quello di aver descritto cos’è la guerra fuori dagli scenari operativi. Ed è la guerra che, prima ancora che sul corpo, lascia ferite nell’animo, nella mente, nella coscienza, nelle emozioni… Ma lei ha anche il grande merito di dar voce, con una capacità psicologica e descrittiva unica, a tutti quei genitori che vivono le stesse situazioni senza saperle o poterle raccontare. La capacità di rendere giustizia al valore dei figli, là dove il pudore alza muri invalicabili nella comunicazione e dove il silenzio copre, sotto il velo del non detto, la luce dell’eroe che brilla nel volto di un figlio.