Il coraggio dell’utopia

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    Siamo finalmente entrati nell’anno dell’anniversario della Grande Guerra, per l’Italia quarta guerra d’indipendenza perché ha completato nella logica, soprattutto geografica, i confini di una nazione che ancora faticava a trovare una propria identità. Come in ogni anniversario ci sono delle riflessioni che si debbono fare. Il giudizio sull’evento che la storia dopo cent’anni ci consegna, finalmente libero dalla retorica trionfalistica di una vittoria che è comunque costata fra i militari 651.000 morti e quasi un milione di feriti, di cui circa 50.000 Alpini e 589.000 caduti civili. Sono queste cifre che dimostrano quanto la guerra, ogni guerra, sia una folle sciagura, quali ne siano le motivazioni che la ispirano. L’anniversario è anche celebrato per ricordare coloro che per dovere sacrificarono la loro vita.

    I più giovani mandati a morire sul Montello, a Nervesa, sulle sponde del Piave, a Ponte Priula; i ragazzi del ’99 avevano 18 anni, alcuni non ancora compiuti. Coltivare la memoria è un dovere sacro, una verità da far conoscere a generazioni di ragazzi, che oggi stentano a credere come loro coetanei possano aver sofferto le stragi che quella guerra ha prodotto. È anche l’occasione per un pensiero rispettoso verso coloro che furono vittime delle decimazioni per fucilazione, operate da corti marziali che decisero più per disperazione che per giustizia, quasi che fosse colpa l’esser rimasti in vita. Portiamo corone ai monumenti con devozione e rispetto. È un atto voluto e dovuto per rendere loro onore, ma il modo migliore è rispettare quella Patria che loro hanno onorato con il sangue. Se dal paradiso dove li immaginiamo, vedono la nostra Italia oggi, si chiederanno se è per questa nazione che sono morti.

    Qui la riflessione ci porta inesorabilmente ai problemi che ci affliggono. Non solo per una crisi economica che ancora non dà segnali positivi, ma per una crisi dei beni relazionali che è una delle cause dell’infelicità di molti. La povertà non è declinabile solo in termini materiali. Siamo sempre più poveri dal punto di vista relazionale e siamo sempre meno felici per la perdita del senso di appartenenza. Chi perde il lavoro, subisce il crollo di tutti gli indicatori di vita sociale: partecipazione alla vita associativa, a quella religiosa, politica, la tenuta della famiglia. Questo ci rende ancor più vulnerabili. La povertà che pur c’era negli anni ’40-’50 era vissuta con una dignità che oggi è sconosciuta perché manca la solidarietà. La povertà è associata alla mancanza di rispetto e quindi di dignità, mentre l’agiatezza è presunzione di virtù. Sono concetti non facili da declinare perché scomodi, che tuttavia rappresentano il vero tarlo di un progressivo decadimento morale del quale dobbiamo prendere consapevolezza e forse anche la nostra individuale parte di colpa per averli sottovalutati.

    Noi stiamo vivendo nell’ANA una realtà associativa che con poliedriche forme di volontariato ha patrimonializzato dignità, autostima e fiducia e orgoglio. È un capitale sociale libero da ideologie ma saldamente ancorato ai valori che esaltiamo nel ricordo di quanti hanno vissuto la tragedia della Grande Guerra. Qualcuno penserà che non ci sia un nesso, ma non è più tollerabile che esistano soggetti che ricevono soldi pubblici di vitalizi o pensioni centinaia di volte superiori a quelle misere che stanno sotto la soglia di sopravvivenza. Non c’è carica pubblica né stola di ermellino che godendo di questi privilegi usurpati possa sentirsi indenne dalla vergogna che merita. Non sono degni di celebrare alcunché coloro che difendono soltanto i propri privilegi. Dobbiamo avere il coraggio di dirlo. Sul Piave e a Vittorio Veneto non si fece solo l’unità d’Italia geografica, ma anche civile e morale.

    Immaginare una società diversa, rispettosa dei sacrifici e dei valori che hanno salvato l’Italia dopo Caporetto è forse un’utopia; un viaggio verso l’impossibile. Interrogativo che non si è posto chi ha scritto durante la Battaglia del Solstizio, sul muro di una casa di Fagarè «Tutti eroi! O il Piave o tutti accoppati!». Con questa coscienza, celebriamo l’anniversario, ricordando ciò che pur nella tragedia ci hanno dato, uniti, siciliani, calabresi, veneti, abruzzesi, toscani, sotto un’unica bandiera che rappresenta ancora il simbolo della solidarietà e della riscossa.

    Maurizio Mazzocco