Il Carso triestino

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    DI REMO PISTORI


    Il Carso triestino è la propaggine calcarea meridionale di un altopiano che scende dalle Alpi Giulie sino al golfo di Trieste, interrotta da qualche gobba montuosa o collinare. Qui l’aspra roccia bianca, solcata dal millenario logorìo del tempo in torri, spuntoni, campi carreggiati e falesie, precipita e si sposa con l’azzurro del mare. Il Carso non possiede acque affioranti salvo piccole e rare pozze fangose. È un immenso inghiottitoio formato da infinite fessure, colatoi e pozzi naturali (le foibe) attraverso i quali l’acqua piovana scende nel sottosuolo ad alimentare bacini e fiumi ipogei. Agendo chimicamente sulla solubilità della roccia calcarea l’acqua, con lenta inesorabilità millenaria, ha formato vaste grotte ricche di stalattiti e stalagmiti (le caratteristiche colonne contrapposte tra pavimento e volta) ed un articolato sistema di tortuose gallerie attraverso le quali scorre anche il fiume Timavo che ricompare nel golfo, nei pressi di Duino, dopo quaranta chilometri di percorso sotterraneo.
    Descrivere lo scorrere delle stagioni su questa landa e la sua selvaggia bellezza è compito estremamente arduo perché la parola mai potrebbe sostituirsi ll’incanto delle sensazioni che si provano alla vista di una sinfonia di colori, che può trovare riscontro solo sulla montagna oppure aspirando, nel procedere, l’intenso profumo del timo e della salvia, ed ancora dinanzi alla spettacolare panoramicità del ciglione che si affaccia sul golfo per precipitare nel mare sottostante. Il Carso va vissuto lungo i suoi numerosi sentieri segnati dal CAI, all’ombra delle pinete, davanti all’ingresso di una delle sue numerose grotte o ai piedi del muraglione di un castelliere, già rifugi dell’uomo della preistoria, ma anche nelle accoglienti trattorie ed osmizze (case private) dei suoi bei borghi secolari, dove il linguaggio prevalente degli abitanti evidenzia l’incontro della cultura orientale con quella latina.