Il cardinale Tettamanzi: I Caduti rappresentano una grande lezione per noi’

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    La S.Messa celebrata a fine anno in duomo a Milano. Per la prima volta dopo 42 anni, il discorso sul sagrato non è stato pronunciato da  Peppino Prisco Ne ha ricordato la figura Cesare Lavizzari.

     

    Cerimonia sempre uguale e sempre nuova , così lo speaker ufficiale, Sandro Vincenti, sintetizzava lo spirito che anima l’annuale Messa in Duomo, a Milano, a suffragio dei Caduti in guerra e in pace. La novità più eclatante, quest’anno, è stata sicuramente la presenza del cardinale arcivescovo, S.E. Dionigi Tettamanzi, che ha presieduto il rito eucaristico.
    Accanto all’Altare, il Labaro Nazionale, con le sue 207 Medaglie d’Oro, a testimoniare il sacrificio degli alpini. In prima fila, accanto al presidente nazionale Beppe Parazzini, il sindaco di Milano Gabriele Albertini, il comandante delle Truppe alpine magg. generale Bruno Iob con i comandanti delle brigate Tridentina (sarà sciolta pochi giorni dopo per dare vita a un Comando di divisione), Taurinense e Julia, il vice presidente del Consiglio provinciale di Milano Gianni Prosperini.
    Nella chiesa gremita di alpini, di amici, in una selva di vessilli e gagliardetti, decine di gonfaloni, il cardinale incedeva lento e solenne, avvolto dal fumo dell’incenso. Si percepiva come, in un muto dialogo, stesse nascendo un legame d’affetto tra il pastore ambrosiano e il popolo della penna.
    Nell’omelia, il cardinale ha ricordato gli alpini caduti per il bene comune della società, come essi rappresentino una grande lezione per tutti noi e commemorarli sia il modo migliore di conservarne la memoria. Non poteva mancare un accenno a don Gnocchi nel centenario della nascita, la sua figura di prete alpino, colui che ha voluto condividere la sorte di tanti ragazzi mandati alla guerra L’amore per l’uomo, e in particolare per i giovani, ha spinto don Carlo ad accompagnare questi giovani sulle montagne fangose dell’Albania e della Grecia e nelle lande gelide della steppa russa, per custodirne le speranze, per raccoglierne le lacrime, per consolarne le ferite e per benedirne la morte. Egli ha saputo vedere il volto di Gesù proprio nel volto duro e sofferente, e spesso morente, dei suoi giovani alpini.
    Il suo obiettivo ha continuato il cardinale era restaurare la persona umana nella sua interezza, non solo fisica, per dare pienezza di significato all’esistenza soprattutto quando si è colpiti dall’handicap . Ma il momento spiritualmente più alto si è toccato con la preghiera dell’Alpino, letta da Antonio Rezia; neanche se si fosse messo d’accordo col coro avrebbe trovato una sincronia così perfetta, l’emozione era palpabile e l’accento accorato e sincero.
    Alla Messa sono seguiti i discorsi sul sagrato. Il primo è stato del presidente della Sezione di Milano, Tullio Tona, seguito dal vice presidente del Consiglio regionale Piergianni Prosperini. La commemorazione ufficiale è stata tenuta da Cesare Lavizzari, un compito che da anni toccava a Peppino Prisco, scomparso improvvisamente l’anno scorso. Sentendo tutto il peso di questa assenza Cesare Lavizzari ha esordito dicendo: L’incarico che mi è stato affidato oggi, di sostituire colui che per quarantadue anni consecutivi ha concluso questa cerimonia, mi riempie d’orgoglio ma anche di trepidazione: non è certo impresa facile sostituire Peppino Prisco! Spero nella vostra comprensione . Ha proseguito ricordando: questa celebrazione, ideata e fortemente voluta dal nostro Peppino Prisco, da semplice messa per i Caduti di Russia del battaglione L’Aquila si è, nel tempo, trasformata nella celebrazione per i Caduti di tutte le guerre .
    Lavizzari ha poi parlato dei valori che caratterizzano il nostro essere alpini, in un momento in cui gli alpini sono costretti a difendere la propria esistenza. La domanda alla quale si dovrebbe rispondere è estremamente semplice: è pronta l’Italia a fare a meno degli alpini?A sentire gli americani, che hanno preteso che fossero proprio gli alpini ad essere inviati in Afghanistan, parrebbe proprio di no! Ad osservare le ultime esercitazioni Nato, vinte ancora una volta dagli alpini della Julia, parrebbe proprio di no! A dare un’occhiata alle zone disastrate da terremoti, frane e inondazioni, dove sono sempre gli alpini della Protezione Civile ad intervenire per primi, parrebbe proprio di no!
    E quale chiusa migliore Siamo qui per i nostri veci, quelli che ci hanno insegnato a vivere, e ad amare l’Italia e la penna nera, ed è per questo che assieme a loro ancora una volta gridiamo: viva gli Alpini e viva l’Italia . (L.G.)