I papà del "Trentatrè"

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    Il nostro inno è stata una delle prime canzoni che ho imparato. Mio papà lo intonava di ritorno dalle gite in montagna, mia mamma e noi fratelli, tutti assieme, davamo il nostro contributo. Era l’inno degli alpini, lo cantavamo con orgoglio e questo bastava. La curiosità di saperne di più è nata in seguito, ma le notizie sono sempre state poche e contraddittorie finché lo scorso anno un alpino di Vercelli chiede un incontro, dice di avere notizie sul Trentatré e per una di quelle coincidenze inspiegabili, vengo incaricato di ascoltarlo.

    Durante le ricerche storiche condotte per scrivere una pubblicazione sulla banda di Trino Vercellese, Franco Crosio e Bruno Ferrarotti si imbattono nella figura del maestro e compositore Eugenio Palazzi. Un tipo molto schivo e riservato tant’è che le notizie sul suo conto sono davvero poche. L’unica fonte nota, infatti, è un articolo apparso su La Provincia di Vercelli nell’aprile del 1940 in occasione della sua morte. È in questo articolo che viene citato, fra le sue opere, il canto militare Valore Alpino divenuto musica d’ordinanza delle Truppe alpine. L’articolo riprende le notizie scritte sul Dizionario Universale dei Musicisti di Carlo Schmidl e pubblicato dalla Casa Editrice Sonzogno nel 1928/’29 (prima edizione) e nel 1936/’37 (seconda edizione).

    Qui c’è qualcosa in più: “Scritto per il battaglione Susa e cantato da tutti gli alpini durante la guerra”. Da queste parole si comprende che il nostro inno era ben noto già durante la guerra. Eppure mancava ancora la prova certa e inconfutabile che si trattasse proprio dell’inno così come lo conosciamo noi. Consultando gli archivi locali, Crosio e Ferrarotti riescono a risalire ad una nipote ancora vivente del maestro, Giovanna Zatti, la quale fornisce loro altri documenti. «All’Illustrissimo Sig. Ten. Colonnello Bassino Cav. Roberto Comandante il Battaglione “Susa”, VALORE ALPINO canto militare, parole dell’Avv. Camillo Fabiano, trascrizione musicale di Eugenio Palazzi già capo musica nel R. Esercito e Tenente nella Riserva». La musica e per larga parte il testo corrispondono a quelli a noi ben noti. Non ci sono date, ma la dedica può farci dire che questo spartito è antecedente alla prima guerra mondiale. Infatti il ten. col. Bassino cav. Roberto ricevette la nomina il 1° febbraio 1912 e lo stesso Eugenio Palazzi è citato come “tenente nella Riserva”, mentre sappiamo che partecipò alla guerra col grado di capitano.

    Ci sono poi altri documenti interessanti fra cui un listino degli spartiti del Palazzi. Qui, fra le varie composizioni buona parte delle quali in francese, c’è anche Valore Alpino, canto militare, trascrizione di Fiers Alpins. Non viene citato l’autore del pezzo e questo potrebbe indurci a pensare che fosse un canto popolare o addirittura una sua precedente composizione, come altre, scritta per il mercato francese. Per diverso tempo, il noto spartito Fiers Alpins scritto da Alfred d’Estel e musicato da D. Trave è stato da molti indicato come il precursore del nostro inno. Lo spartito in oggetto però si presenta come la partitura di una canzone con accompagnamento per pianoforte. Inoltre la datazione non è certa: tutte le copie che ho esaminato hanno, sopra il prezzo originale, una stampigliatura con aggiornamento il che presuppone siano state poste in vendita dopo la guerra.

    Dallo spartito risulta che il pezzo fu scritto per Henry Helme il celebre “tenore delle alpi francesi”, a cui i critici dell’epoca attribuivano una buona voce, ma scarsa presenza scenica. La sua carriera si sviluppò dai primi anni del novecento fino agli anni venti, ma al Bataclan, il locale indicato sullo spartito, arriva senz’altro dopo il 1910 il che ci spinge a credere che questo spartito sia contemporaneo a quello del Palazzi. L’immagine sullo spartito richiama gli Chasseurs Alpins, penso per iniziativa dell’editore, ma nel testo non si parla di loro – ma genericamente di alpini – ed il pezzo mal si adatta alle tradizioni degli Chasseurs che, come è noto, marciano al ritmo di 130 battiti al minuto ed infatti non hanno questo inno o canzone nel loro repertorio. Anche se permangono delle incertezze sull’ispirazione, possiamo affermare che il nostro inno, così come lo conosciamo, è frutto del maestro Eugenio Palazzi e dell’avvocato Camillo Fabiano ai quali va reso il giusto merito. Adesso lo canteremo se possibile con più orgoglio… anche la seconda strofa che, chissà perché, cantiamo in pochi.

    Mariano Spreafico