I Caduti della Acqui troppo a lungo dimenticati

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    Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha reso omaggio, all’isola di Cefalonia, ai Caduti della divisione Acqui, quasi tutti trucidati dalle truppe tedesche dopo che si erano rifiutati di consegnare le armi all’indomani dell’8 Settembre del ’43. Abbandonati dal comando italiano riparato a Brindisi a seguito del re, abbandonati dagli stessi alleati anglo americani che avrebbero potuto provvedere al recupero della divisione, i nostri militari furono lasciati al loro destino e dopo combattimenti durissimi, annientati dall’aviazione tedesca, rimasti senza munizioni, furono catturati e uccisi barbaramente.

    Di questa tragedia, primo atto della Resistenza italiana, ha dato testimonianza il presidente Ciampi recandosi a Cefalonia durante il suo mandato presidenziale; lo stesso ha fatto, significativamente il 25 aprile, il presidente Napolitano, accompagnato dal presidente greco Karolos Papoulias. Riferendosi all’apporto alla Liberazione dato dai militari, Napolitano ha parlato di apporto altamente significativo e importante un multiforme contributo a lungo sottovalutato e ormai iscritto a pieno titolo nella storia del nostro riscatto nazionale .

    Il Presidente non ha dimenticato le centinaia di migliaia di militari internati in Germania che per senso dell’onore e della dignità personale rifiutarono di allearsi con i nazisti. Infine ha reso onore all’amica Grecia, così dolorosamente ferita nella seconda guerra mondiale dalle aggressioni fascista e nazista e dall’occupazione straniera .

    La formazione umanistica che un tempo si è tentato di impartirmi ha probabilmente suggestionato il mio pellegrinaggio sul suolo greco o, meglio, nelle località dove, all’indomani dell’8 settembre 1943, si compì il dramma tragico della eroica Divisione di fanteria da montagna Acqui che presidiava Cefalonia, Corfù e le isole del basso Jonio unitamente a consistenti aliquote di Carabinieri, Guardia di Finanza e di Marinai. La ricchezza della poesia epica di Omero ci aiuta certo, mentre il cuore batte come vuole ed il pensiero corre: Achille, Ettore, Patroclo, Agamennone, i Proci, l’Isola di Itaca proprio di fronte a Cefalonia. Lotta di giganti, uomini e divinità insieme. Ma cavalieri nel portare le armi l’uno contro l’altro, anche se in un duello impari ed implacabile.

    Dopo la commemorazione del 25 Aprile all’Altare della Patria, preceduta il giorno avanti da una cerimonia che il nostro Presidente della Repubblica ha riservato nelle sale del Quirinale ai rappresentati delle Associazioni partigiane, combattentistiche e d’arma, sorvoliamo il braccio di mare che da Ciampino ci accompagna fino all’aeroporto di Kefallinia. Con il pullman, messo a disposizione dalle autorità elleniche, arriviamo lassù a Monte Telegraphos dove giungeranno poi il Presidente greco Karolos Papoulias ed il Presidente italiano Giorgio Napolitano: una croce indica uno dei momenti di un crudele massacro cui si contrappose una primitiva resistenza per la vita propria e dei commilitoni, per la famiglia lontana, per la Patria colpevolmente assente.

    Una Croce, su suolo italiano in terra ellenica, che avrebbe anche potuto essere ortodossa per affratellare i nostri soldati e i partigiani greci. Poi, senza passare alla casetta rossa (un rituale macabro che ha il suo prologo in terra russa!), sempre con il cuore in tumulto, breve sosta a San Teodoro dove, un destino feroce, accomunò 136 ufficiali e il generale Gandin, comandante puro, leale e tormentato della Divisione. Infine ad Argostoli, un minuscolo museo di ricordi lontani e dolorosi, immerso in una ridente città di mare. Disse lo scrittore Giorgio Rochat Gli uomini della Divisione Acqui non erano eroi senza crisi, né dubbi.

    Erano soldati stanchi di una guerra che non capivano, logori per le dure condizioni di vita, obbedienti malgrado malumori e risentimenti non privi di base. Ciò nonostante nel settembre 1943 rifiutarono la resa con una straordi Il Labaro che ricorda i Caduti della divisione Acqui, con il presidente della Repubblica e un reduce del 33º Reggimento di artiglieria. naria prova di dignità e di speranza . E morirono in 10.260. Là, su quella scena, un piccolo alpino di una grande civiltà si è fatto il segno della Croce per ricordare. Ma, anche, per riflettere sull’orrore di uomini che, seppur impregnati di quella cultura classica, evocarono soltanto l’ira di Polifemo e la vendetta di Ulisse. (A.R.)