Dentro, in aeroporto, mentre aspetti che ti diano la valigia, stai lì con gli occhi inchiodati sul nastro, immerso nella frescura dell’aria condizionata. Non sarà l’aria del Trentino, quella della canta, che ti fa cambiare i colori, ma è pur sempre evocativa della gradevolezza dei luoghi degli alpini. Poi, l’improvviso spalancarsi delle porte di uscita, grazie ai premurosi “maggiordomi” elettronici, ti butta dentro al traffico e alla calura della Sicilia. Miiiii….! È il minimo che ti viene da dire, con le poche espressioni di colore che hai imparato in Trinacria.
Poi ci pensa Carmelo, capogruppo di Catania a portarti via dal caldo e dal traffico. Aria condizionata a manetta e finestrino un po’ abbassato per far girare il fumo di qualche sigaretta. Ha ottant’anni e da anni non si perde adunate e incontri vari al Nord. Parte rigorosamente da solo, con la sua auto, inerpicandosi su, su, con la caparbietà di un mulo. La voce è rugosa, ma l’animo è doc, secondo le indicazioni della terra d’origine. “Chi vive paga e chi muore è cornuudo”, sentenzia, per indicare che l’ospitalità è rigorosamente gratuita. L’approdo a Linguaglossa, alle pendici dell’Etna, dove si tiene l’Adunata del 4° Raggruppamento, è un trionfo di bandiere.
È sera avanzata e molti si sono già dati ai canti. A tenere banco, oltre alla gente del luogo, c’è una folta delegazione d’Abruzzo. E si capisce dal loro entusiasmo, che siamo alla caparra del 17 maggio prossimo. In quel brulicare di suoni, colori e voci, ti chiedi come abbia fatto un gruppo di venti alpini a organizzare una festa di quella portata. Il segreto è negli occhi, nel cellulare sempre all’orecchio, nel continuo correre di qua e di là del capogruppo, il Nino De Marco. Il gruppo è piccolo, ma capisci da subito che ha tirato in gioco il paese intero, con le retrovie popolate di donne, quelle che la penna alpina ce l’hanno stampata nelle mani e nel cuore. Nino che sorride sempre. Che sorride a tutti, per uno di quei doni di natura che pochi possiedono. Ma con lui c’è tutta la sezione Sicilia che gira a pieno ritmo.
Capitanati dal presidente, il Pippo Avila, che è un misto di equilibrio e di classe. E ti chiedi qual è il segreto per riuscire a tenere insieme una Sezione su un territorio così vasto e con numeri così piccoli. Un miracolo che ti entra dentro quasi come un rimprovero: ma non si potrebbe fare di più per questi amici alpini, a noi così vicini e pur così lontani? Mettere in piedi qualche iniziativa che porti un cono di luce e qualche ulteriore entusiasmo su questa realtà? Un tempo c’era la traversata dell’Etna, che richiamava qui penne e scarponi. Anche perché la montagna che fuma è un valore aggiunto all’alpinità che si respira da queste parti.
Ne sa qualcosa il mio amico alpino Turi Ragonese, che ha iniziato a 15 anni e da 60 anni va su e giù dai tremila e passa della vetta, a portare gruppi, a organizzare servizi, perché la montagna resti viva e faccia vivere la gente. È il “camoscio dell’Etna”, come mi piace chiamarlo. Una fatica, che spesso si trasforma in lotta contro le lingue di fuoco che sembrano voler uccidere tutto e tutti. E la gente del posto che investe energie e intelligenza, per non farsi mangiare. C’è anche lui il giorno dell’adunata, un’adunata che vede in piazza tutto il paese.
C’è colore e folclore. Ma c’è un’ammirazione quasi spirituale, come se passasse la processione di qualche santo, come davanti al mistero. Anche perché, da queste parti, non si vedono spesso sfilare gli alpini. E, in fondo, un po’ di mistero esiste davvero. Difficile trovare parole adeguate, per dire dove stia il fascino degli uomini con la penna sul cappello.
Bruno Fasani