Danzica, cattiva coscienza dell’Europa

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    Nel 1939 erano ormai manifeste le intenzioni di Hitler di unire il popolo tedesco nel Terzo Reich, senza discontinuità territoriale. Pensava soprattutto alla Prussia orientale, divisa dal corridoio di Danzica che dava alla Polonia lo sbocco al mare. Insensibile ad ogni appello alla pace (del presidente americano Roosevelt, del papa, di Mussolini stesso), il F hrer era sicuro che la tentennante Europa non avrebbe reagito. Del resto, Morire per Danzica? era l’interrogativo del momento, quasi una domanda retorica nell’aspettativa di un no. E così, il 1º settembre del 1939, alle 4 e 45, la corazzata Schleswig Holstein (una nave scuola tedesca anteriore alla prima guerra mondiale) aprì il fuoco sulla Westerplatte di Danzica, bombardando l’arsenale navale.

    Contemporaneamente 53 divisioni corazzate, suddivise in due armate, invadevano la Polonia. Il giorno stesso, Danzica e il corridoio polacco saranno annessi al Terzo Reich. La Polonia capitolerà sei giorni dopo. Ma il calvario di questa nazione non era ancora finito. Il 17 settembre l’URSS ne invade la parte orientale, secondo la spartizione stabilita dagli accordi Ribbentrop Molotov, i ministri di Berlino e Mosca. È l’inizio della guerra che sarà, per la prima volta, davvero mondiale.

    Settant’anni dopo, proprio a Danzica una ventina di capi di Stato o di governo fra i quali il presidente polacco Lech Kaczynski, il cancelliere tedesco Angela Merkel, il premier Vladimir Putin, una delegazione statunitense inviata dal presidente Barack Obama e, per l’Italia, Silvio Berlusconi hanno commemorato i sessanta milioni di morti causati dal conflitto, ma ancora una volta non sono mancati sottintesi, diffidenze e distinguo sia da parte americana che russa.

    L’unica a parlar chiaro è stata la Merkel che ha attribuito alla Germania la responsabilità del conflitto. Anche se Danzica è destinata a restare nella storia come cattiva coscienza dell’Europa. Va detto che la seconda guerra mondiale fu la conseguenza della prima, o meglio, di quel compromesso fra Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna alla cui base c’era la volontà (soprattutto del presidente americano Wilson) di creare le condizioni di un equilibrio tra Francia e Inghilterra per evitare che si formasse una singola superpotenza europea. Quanto all’Italia, le sue richieste vennero mortificate, tanto che si parlò di pace mutilata , destinata a creare le premesse sociali ed economiche per l’avvento del fascismo.

    Le condizioni imposte con il Trattato di Versailles del 1919 alla Germania furono estremamente dure e punitive: in termini di pesanti risarcimenti alla Francia, di perdita di territori e delle colonie, sottoposta a un rigido blocco navale e al disarmo. Deposto l’imperatore Guglielmo II e proclamata la Repubblica (detta di Weimar, dal luogo in cui si riunì l’assemblea costituente) il Paese precipitò nel caos, soprattutto economico. Fino a quando il presidente Hindenburg nominò cancelliere Adolf Hitler. Era il 30 gennaio 1933. La pace durerà soltanto altri sei anni. Il 1º settembre 1939 la Germania invade la Polonia. Resterà storica la fotografia di un plotone di soldati tedeschi che spezzano la sbarra al confine fra i due Paesi.

    Le divisioni corazzate troveranno per alcuni giorni la disperata, eroica reazione polacca. È l’inizio della Blitzkrieg. Il giorno dopo Mussolini dichiara la non belligeranza dell’Italia; dal 3 settembre entrano in guerra contro Hitler Gran Bretagna, Francia, Australia e Canada. Il 17 la Russia invade la Polonia orientale e il giorno 30 invade la Finlandia. Celebre il discorso che il primo ministro inglese Churchill farà in Parlamento pochi mesi dopo, promettendo al Paese lacrime e sangue , ma anche la vittoria. La guerra durerà sei anni, 2.194 giorni, e porterà allo sconvolgimento dell’Europa, soprattutto alla divisione fra Est e Ovest ed alla creazione di quella cortina di ferro che perdurerà fino alla caduta del comunismo. Un attrito che continuerà nei giorni nostri con reciproche diffidenze con un’Unione Europea che si estende ai Paesi dell’ex area d’influenza di Mosca, (la spartizione di Yalta è dura a morire).

    Ma tutto questo è infinitamente meno importante di un unico, sostanziale fatto: da 65 anni non c’è guerra in Europa, se si eccettua l’intervento necessario della NATO nei Balcani, in Bosnia e Kosovo. Altri pericoli incombono tuttavia e vengono dal terrorismo e dall’estremismo islamico. Ci troviamo con i nostri soldati, con i nostri alpini, in zone di guerra (ma sembra politicamente poco corretto chiamarla così) per portare la pace. E per la pace abbiamo avuto i nostri Caduti.

    Studiosi ed analisti degli equilibri degli scacchieri mondiali affermano che due sono oggi i pericoli del mondo: le fonti energetiche e l’acqua. Intanto il clima cambia, si sciolgono i ghiacciai e si alza il livello del mare. Ma i Grandi non sembrano rinunciare ai propri interessi, concordemente in disaccordo. La storia non cambia proprio mai. (g.g.b.)

    Pubblicato sul numero di gennaio 2010 de L’Alpino.