Dalle macerie il fiore dell’Ana

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    Argomento: Centenario Ana

    Articolo di tipo Editoriale pubblicato nel numero di Gennaio 2019 dell’Alpino

    Anno Domini 2019. Giusto un secolo fa nasceva l’Ana e noi ci apprestiamo a fare di questo anno una memoria speciale. Per scoprire le ragioni che portarono a quella scelta. Per guardare con orgoglio al cammino fatto in questo tempo. Per ringraziare il Cielo di averci aiutato ad attraversare insieme questo secolo, restando uniti, attraverso guadi spesso travagliati. Ma soprattutto godendo sempre la letizia della fraternità alpina col desiderio, mai appannato, di servire l’Italia e renderla migliore.

    Era il 1919. La guerra era terminata da un anno. Nei resoconti delle vicende appena concluse si contavano i morti. Quelli caduti al fronte, quelli civili, senza dimenticare quanti se n’era portati via la Spagnola, alla quale non sembrava vero di dimostrare di potere gareggiare con cannoni e mitraglie, e senza scordare feriti e mutilati, che abbondavano come nei tempi dell’abbondanza. Chi ha attraversato il secolo, vedendo nuove apocalissi e nuove rinascite, era allora bambino. Come mia madre, che nel ’19 aveva nove anni. Fino a cinque anni fa, mi raccontava di come loro bambini avevano visto quella prima guerra. E il ricordo era tutt’altro che intimorito.

    Ricordava quegli uccelli di ferro che volavano in cielo, che non avevano mai visto prima e di cui i grandi dicevano brutte cose, invitando a nascondersi quando volavano sopra le teste. Ma loro erano tutt’altro che intimoriti, perché dal loro ventre uscivano strisce argentate che svolazzavano nell’aria, accompagnate da botti terribili, che sembravano alla loro ingenuità fuochi di artificio dei tempi moderni. Ricordava soprattutto il riso dei tedeschi. Era così buono, che averne un piatto sembrava una benedizione. Noi si abitava a pochi chilometri dal confine e spesso il “nemico” deve aver avuto compassione di quei mocciosi, nutriti del niente che passava nelle madie di casa. A questi ricordi pieni di innocenza avrebbe ben presto provveduto la storia a mettere rimedio.

    Gli anni delle contrapposizioni ideologiche, l’avvento del fascismo e poi la seconda guerra, terribile e devastante, avrebbero obbligato quelle generazioni a scendere dal pianeta dei sogni, per entrare nel recinto della terribile realtà, dove si continuava a piangere lutti e distruzione. Fu da questo scenario che l’Ana mosse i suoi passi. Passi che richiesero diplomazia, coraggio, intelligenza e intraprendenza. E sono passi che noi andremo a conoscere nel corso dell’anno, con l’Adunata di maggio che farà da centro catalizzatore per aiutarci a capire meglio le nostre origini, anche attraverso la fisicità dei luoghi che fanno da scena alla memoria. Ma non sarà solo una passeggiata nel giardino dei ricordi.

    Sarà soprattutto un gioire per essere riusciti a camminare insieme lungo il corso di un secolo. Siamo stati e siamo ancora una famiglia. Questo è il miracolo dell’Ana, sia pure con tutte le magagne delle case, dove la diversità rende talvolta laboriosa la convivenza. Ma da dove è scaturito il segreto perché la nostra associazione non diventasse una cooperativa, ma assomigliasse di più a una famiglia? Di solito la chiamiamo alpinità. Termine generico per dire tutto e niente. Laboriosità, dedizione, senso del bene comune, voglia di stare insieme, altruismo e tanto altro. E soprattutto tanta umiltà, perché nessuno si sogni mai di salire in cattedra per fare del proprio servizio un privilegio. Questa la condizione per continuare ad essere famiglia.

    Bruno Fasani