Da 'Avvenire' un omaggio allo spirito alpino

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    Illustre e Caro direttore,
    da veneto, conosco da sempre gli alpini. So di che pasta siano fatti e di quale umanità siano intessuti. So di che cosa siano stati capaci in passato e che cosa sappiano fare nell’ordinarietà della nostra vita civile. Non è molto che un gruppo di tredici alpini è partito dal mio paese Onè di Fonte, in provincia di Treviso alla volta dell’Africa, precisamente del Senegal, per aiutare un nostro compaesano colà missionario, padre Danilo Ceccato o.m.i., a realizzare un’opera importante per quel territorio. Ed è solo l’ultima impresa che io ho memorizzato, ma non mi è difficile immaginare quante e quali altre iniziative siano state assunte prima e dopo quella onesina. Come dire: davvero non posso sbagliarmi nel riconoscere a questo Corpo benemerito il meglio che solitamente è attribuito alla gente d’Italia impegnata nel mondo. Altruismo, generosità, abnegazione, solidarietà, spirito di amicizia e volontà realizzatrice: insomma il meglio, davvero.

    Può immaginare quindi se, con un simile retro terra, potevo accogliere nel mio giornale servizi di dileggio verso gli Alpini. E, d’altra parte, nessuno per la verità me l’ha proposto. Perché il collega Roberto Beretta, autore di una recensione che ha fatto discutere, non può certo essere ritenuto un antipatizzante. È lui stesso un alpino: e lei mi insegna che dallo spirito di alpino non si può dare le dimissioni. Dunque, è con il massimo della buona fede e con le intenzioni migliori che egli ha affrontato dapprima la lettura e poi la valutazione critica del libro dì Schlemmer. E obiettivamente la recensione pubblicata non indulgeva certo sulle tesi esposte nel volume: diciamo che le fronteggiava e in alcuni passaggi le metteva alla berlina.

    Ora, se ho inteso bene il disappunto dei lettori che ci hanno scritto, essi e forse anche la stimabilissima rivista che lei dirige pensavano che fosse meglio soprassedere, mentre Avvenire ha ritenuto che in quel libro ci fosse una notizia , per la precisione una notizia falsa e sciagurata, ma che essendo stampata era in qualche modo destinata alla circolazione, e dunque da confutare. Questo è il punto. Che francamente non mi sembra quello di parti avverse.

    Ripeto, noi siamo amici degli Alpini, e gli Alpini sono una compagine che crede in ciò che noi pure abbiamo a cuore. Ovvio che, se tornassi indietro, a fronte del rischio di fraintendimenti, ci penserei sopra mille volte prima di commissionare il servizio al collega, che però gliene do atto ha svolto con acribia il proprio compito. Certo che vi chiedo scusa se, senza volere, abbiamo potuto urtare la vostra sensibilità; ma anche, con la lealtà e la schiettezza di cui siete maestri, mi permetto di chiedervi di voler archiviare l’incidente.

    Sì, la cosa mi tocca anche personalmente. Mio padre ha fatto, da artigliere, la campagna di Russia e da lui ho mille volte udito il racconto di quanto fossero amati gli italiani dalla popolazione incontrata in quell’immenso Paese, la predilezione che quel popolo, e le mamme di quel popolo, avevano per i nostri soldati, la premura con cui li accoglievano nelle loro misere fattorie per condividere con loro il niente di cui disponevano. Come dire, ancora: proprio a me doveva capitare un equivoco di questo genere?

    La circostanza della recensione ha significato per il mio giornale una ripresa a più tappe del discorso e immagino che siamo riusciti oramai a chiarire dubbi e incertezze. Ma, se Lei avesse la bontà di aiutarmi, vorrei bussare alla porta di ogni alpino, e dirgli la mia e nostra simpatia, la mia e nostra amicizia. Alla fine, anche un servizio giornalistico non propriamente gradito può diventare una felice occasione per dirci che siamo, e ci onoriamo di essere, italiani seri aperti al mondo proprio in spirito alpino.

    Dino Boffo Direttore di Avvenire