In Abruzzo abbiamo fatto la nostra parte , ha detto il presidente Corrado Perona parlando alla riunione dei presidenti delle Sezioni. La nostra parte comprende l’impegno di oltre 7.500 volontari che si sono succeduti in turni settimanali, come un fiume di solidarietà, sin dal giorno stesso del terremoto.
I primi ad accorrere sono stati proprio gli alpini d’Abruzzo che, pur terremotati a loro volta, hanno pensato agli altri più che a se stessi. Figli d’una terra forte e fiera, hanno strappato applausi e lacrime di commozione mentre sfilavano all’Adunata di Latina: in strada, alle finestre, sulle terrazze c’era la gente comune fatta di tanti figli dei bonificatori venuti dal Veneto, un’altra terra, alpina come quella d’Abruzzo che aveva capito il valore della dignità che si manifesta ancor più nella tragedia.
L’intervento in Abruzzo è stato spontaneo, tanto che non pochi gruppi alpini non hanno atteso nemmeno istruzioni: si sono organizzati e sono partiti, disperdendosi nei vari campi. Mentre erano ancora in corso scosse di assestamento, sono giunte sul posto squadre cinofile: i cani da ricerca hanno localizzato sotto le macerie cinque persone ancora in vita, e hanno consentito di recuperare i corpi di diciotto vittime.
Poi sono arrivate le prime colonne di aiuti, con le cucine da campo, le squadre di volontari che hanno collaborato nell’allestire le tendopoli. Immediata è stata anche l’apertura di una raccolta di fondi da parte della Sede nazionale. All’inizio la motivazione era generica, pro terremotati , nell’attesa di individuare, nella tragedia, qualcosa di duraturo da realizzare.
Ed è così che è nato il villaggio ANA a Fossa, il paesino medievale che ha riportato gravissimi danni. Era un azzardo, perché nell’esigenza di far presto per prevenire l’arrivo dell’inverno, occorreva partire subito. È stato, per la Commissione grandi opere, un impegno fondato sulla fiducia, contando sulla convinzione che ancora una volta com’era avvenuto in occasione del terremoto in Friuli e in tante altre circostanze il cuore alpino avrebbe risposto alla grande. E così è stato. Le case, inizialmente 26, sono divenute trenta e poi è il numero che ci piace di più Trentatrè. Ora il villaggio è terminato.
Nei pochi giorni che mancano all’inaugurazione saranno eseguiti gli ultimi lavori. È la risposta del cuore alpino, che non calcola se non l’aiuto a chi ne ha bisogno, non fa alcun preventivo, non cura interessi, non presenta conti sottobanco. Perché questo fa parte della storia degli alpini, del nostro Dna. Ce l’hanno trasfuso i nostri Padri, quelli che uscivano dalle trincee senza sapere se avrebbero raggiunto la cima, ma andavano avanti, quelli che hanno scritto pagine di grande umanità e indicibile coraggio in Russia, quelli che si sono incontrati all’insegna della solidarietà e della fraternità, maturate nei lunghi mesi di guerra, per fondare la nostra Associazione.
In Abruzzo abbiamo fatto la nostra parte . Non lo diciamo per vanagloria perché la miglior ricompensa è sapere che ancora una volta abbiamo seguito il cuore. Ci basta sapere, nonostante la società sembri andare nella direzione dei disvalori che, dopo novant’anni, gli alpini sono sempre gli stessi.
Pubblicato sul numero di novembre 2009 de L’Alpino.