“Cuneense!”

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    La prima fitta nevicata della stagione ha imbiancato Mondovì proprio nella due giorni – 19 e 20 gennaio – di eventi alpini nel 70° della battaglia di Nowo Postojalowka. Era il 20 gennaio 1943, quando nel ripiegamento dal Don la “Cuneense” si immolava per consentire ai resti dell’armata italiana di guadagnare il varco di Nikolajewka, sottraendosi così alla sacca nella quale i russi l’avevano intrappolata.

     

    Gli alpini della sezione, con il loro presidente Gianpiero Gazzano hanno lavorato per mesi per la buona riuscita di questa cerimonia. Li ha premiati la grande affluenza di alpini provenienti anche dalle sezioni di Piemonte, Liguria, Toscana, Lombardia e Triveneto, con 27 vessilli e 250 gagliardetti, e la presenza del Labaro con il presidente nazionale Corrado Perona. Una trentina i reduci, non solo alpini, che sono stati accolti con tanta riconoscenza e rispetto.

    Non a caso il presidente Gazzano parla di un “Filo comune, tra passato, presente e futuro: un filo che ha legato i reduci ed i ragazzi delle scuole monregalesi, medie inferiori e superiori, durante l’incontro con gli ex combattenti tenutosi nella mattinata di sabato 19, giorno d’inizio delle celebrazioni”. In un teatro Baretti colmo, gli studenti hanno salutato, in piedi, il racconto di Carlo Vicentini, classe 1917, pluridecorato sottotenente del ‘Monte Cervino’. “Della Campagna e della Ritirata molto si è detto e scritto – ha detto l’autore di ‘Noi soli vivi’ – ma è stata la prigionia, specie quella durissima seguita alle marce del ‘Davai’ a segnare la nostra decimazione”. Vicentini tornò in Italia solo nel 1946, dopo 3 anni di internamento.

    Con Vicentini, l’ANA di Mondovì ha radunato una ventina di altri reduci alpini provenienti dalla Granda, dalle province di Torino, Savona ed Imperia. Ultracentenario il più anziano (classe 1912), mentre il più giovane, era un ‘ragazzo’ del ’23. A proposito di giovani, quelli di Mondovì e del Monregalese – molti figli e nipoti di alpini – hanno potuto davvero rivisitare la tragedia dell’ARMIR nella suggestiva mostra allestita nell’ex chiesa di Santo Stefano dal “Comitato Memoriale Cuneense”, dove erano esposte divise di panno autarchico, gli scarponcelli, la slitta, i fucili 91, armi e dotazioni con cui gli italiani dovettero fronteggiare tank T34 e “pepescià”, i fucili mitragliatori dell’Armata Rossa.

    La giornata di sabato si è conclusa sempre in Sala Baretti, gremita in ogni posto per lo spettacolo “Senza Alpini come farò, storia minima dell’Italia unita e delle Penne Nere”, presentato dalla Compagnia “Canzon&Teatro”, di cui era stato anticipato un saggio, nella mattinata, durante l’incontro con le scuole. Domenica mattina, sotto una fitta nevicata, dinanzi al Monumento nel rione Breo, l’alzabandiera e l’onore ai Caduti alla presenza di un picchetto armato e della fanfara della brigata Taurinense. Dopo la rassegna da parte del gen. D. Fausto Macor, vice comandante delle Truppe alpine e dei colonnelli comandanti del 2° reggimento Alpini, Cristiano Chiti e del 1° Artiglieria Terrestre, Camillo Della Nebbia, si è formato il lungo corteo con i reduci, i vessilli e i gagliardetti, centinaia di penne nere che hanno risalito le strade di Mondovì, città sede del 1° reggimento Alpini e del 4° artiglieria alpina della “Cuneense”, fino alla chiesa del Sacro Cuore, nel rione Altipiano.

    Sul sagrato hanno portato il saluto il presidente della Sezione Gazzano, il sindaco della città Stefano Viglione, il vice prefetto Maria Antonietta Bambagiotti e il presidente nazionale Corrado Perona. Presenti in rappresentanza della Provincia l’assessore Stefano Isaia e per la Regione Piemonte il consigliere Tullio Ponso. “Momenti come questi ci fanno comprendere il valore della memoria”, ha esordito invece il presidente nazionale. In un accorato intervento Perona ha rimarcato come la guerra abbia privato della giovinezza un’intera generazione di italiani Caduti, rendendoli inabili al lavoro, segnandoli per sempre. “Il sacrificio degli alpini e di tutti coloro che hanno combattuto deve essere d’esempio di onestà e dovere a chi deve e dovrà guidare questo paese”, ha concluso Perona.

    Tantissimi monregalesi, insieme ad una ventina di sindaci, tra cui i primi cittadini di Mondovì, Stefano Viglione e di Cuneo, Federico Borgna, hanno preso parte alla Messa, officiata dal vicario vescovile, don Meo Bessone, con l’accompagnamento dell’ottetto Cantus Firmus. È stata affidata a quest’ultimo l’interpretazione di “Signore delle cime”, prima della Preghiera dell’Alpino, a cui è stato affidato il ricordo dei 14mila della “Cuneense” che più non tornarono. Un affettuoso applauso ha salutato monsignor Italo Ruffino, cent’anni ed un mese, uno degli ultimi cappellani militari dell’ARMIR, presente alla celebrazione.

    “La speranza non è ottimismo, ma è la convinzione che quello che si sta facendo ha un significato”, ha detto don Meo all’omelia. Questa è anche la convinzione degli alpini monregalesi. “Che il seme della memoria, gettato a Mondovì – dice il presidente Gazzano – attecchisca tra i tanti giovani incontrati in questi due giorni, segnando un importante passaggio di testimone tra le generazioni”.

    Alessandro Borgotallo