Cosa ne penso della leva breve

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    Mi par di sentirli quei veci che sono oggi ancora in vita, alcuni dei quali, in tempi ormai tanto lontani e troppo spesso da troppi dimenticati si sono fatti allora magari 90 e più mesi di naia alpina… e che naia ! Ma anche quelli che più tardi, sino a qualche anno fa, se ne sono fatti molti, molti meno scarpinando però anche loro come abbiamo fatto noi, per le impervie e spesso inaccessibili montagne con sulle spalle il peso greve dello zaino affardellato e delle armi automatiche, accorrendo là dove le gravi insidie della natura avevano sconvolto terra e umanità ma non avendo dovuto sopportare, per fortuna, le sofferenze e le angosce della guerra. E che poi, da borghesi, si sono dati e si stanno dando tanto da fare per aiutare chi meno abbia avuto dalla sorte, costruendo, nel ricordo dei loro compagni perduti, asili, ricoveri e tante altre opere che la società civile non sarebbe stata capace di attuare.

    Insomma tutti quegli alpini di allora, ai quali devono essere aggiunti tutti coloro che oggi, tanto lontani dalla Patria, fanno con grande rischio e altruismo il loro dovere di cittadini.., mi pare di sentirli dire: Ma come si fa a dare il cappello alpino a questi ragazzi dopo che si sono fatti appena quindici giorni di naia e che certamente non sanno ancora cosa sia veramente il peso dello zaino ? Quel cappello che per chi l’ha portato in testa e che oggi tiene con fierezza sul cuore è …il suo sudore che l’ha bagnato , e le lacrime che gli occhi piangevano e tu dicevi: Nebbia schifa … Debbo riconoscere che anch’io che da anni ho sempre sostenuto che l’avere tolto la leva, soprattutto quella alpina, è stato un gravissimo errore poiché in tal modo si va perdendo un patrimonio inestimabile della nostra terra e che bisogna al più presto porre riparo a tale manchevolezza introducendo nuovamente un anno di servizio da farsi eventualmente, con le dovute regole, come soldato civile , ma pur sempre con tanto di divisa e di disciplina, e questo per il bene nostro e degli stessi giovani, perché la società e noi tutti ne sentiamo quanto mai la necessità… anch’io, dicevo, ho dovuto ammettere che questa della cosiddetta leva breve può ritenersi, almeno per il momento, una buona soluzione.

    E di questo mi sono convinto quando ho visto come in quei quindici giorni gli ufficiali alpini che li hanno avuti in consegna non abbiano risparmiato loro alcuna fatica, li abbiano fatto vivere giornate dure e a volte impossibili, molto simili a quelle che avevamo sopportato noi da reclute con le stesse scarpe nuove che fin dal primo giorno avevano fatto venire ai piedi quelle vesciche per le quali, anche se molto dolorose, non si poteva nel modo più assoluto marcare visita; con gli stessi zaini resi oggi forse più ingombranti, camminando per tutto il giorno con ogni ora gli stessi minuti cinquanta di buon passo seguiti da dieci di riposo prima di riprendere a salire, tanto che alla sera, al ritorno, nessuno di loro aveva più la voglia di andare in libera uscita. Con le notti insonni sotto la tenda a volte con l’acqua che correva lungo la schiena, con la stessa rigida disciplina dei nostri lontani tempi.

    Non è stata, insomma, per loro, una vacanza, come qualcuno potrebbe pensare ma un vero e proprio faticoso sopravvivere così da poter meglio conoscere cosa voglia veramente dire essere alpino. E dopo questi brevi quindici giorni li ho visti sentirsi orgogliosi per quanto avevano fatto, li ho visti scattare sull’attenti commossi e un poco tremanti quando il generale Primicerj ha consegnato loro il cappello alpino. Ed in quel momento li ho sentiti molto più vicini a noi e ai tanti nostri compagni che non sono tornati. Qualche tempo dopo, una loro rappresentanza, erano una decina, sono venuti a trovarmi dove ora vivo, nel paese di Cologne Bresciano, lo stesso paese di quei miei alpini che quando ero stato gravemente ferito a Nikolajewka mi avevano portato in salvo trascinandomi per giorni e giorni su una slitta di fortuna. Sono venuti a trovarmi perché volevano sapere di più della nostra vita di allora, meglio, conoscere i sacrifici e le miserie da noi sopportate.

    Ma soprattutto volevano sapere cosa ne pensavo del loro così breve servizio di leva. Ci siamo messi attorno al focolare, così come un tempo facevo con i miei alpini e più tardi nella taverna, nella quale custodisco una parte dei miei lontani ricordi ed ho cominciato a raccontare loro un poco della mia storia e di quella dei miei soldati di allora e mi è parso che in alcuni momenti si inumidissero loro gli occhi. Guardandoli, mi pareva di vedere in loro i miei giovani alpini di allora della classe 1922, gli ultimi arrivati anche loro con il cappello nuovo, con quei gesti, come dice don Gnocchi nel suo libro Cristo con gli alpini … a volte quasi timidi e nascosti, con quei volti chiari e onesti, il sorriso discreto, con i loro dignitosi silenzi ed in quel momento mi è venuto da pensare che per me questa è veramente, oggi, la meglio gioventù come lo era stata allora quella dei miei alpini, perché anche loro possiedono quel sentimento che crea pietà per la sorte comune, quel vincolo d’amore che dovrebbe unire tutti gli uomini, quel desiderio di dare il meglio di se stessi per aiutare chi meno abbia avuto dalla sorte, quell’orgoglio di entrare a far parte della nostra grande famiglia alpina ed hanno come i loro vecchi profondo e innato quel tenero amor per la penna nera e per il Tricolore.

    Certamente l’attuale esperimento avrà una ragione di essere solo se la durata di questa così detta leva breve verrà lentamente prolungata sino a raggiungere un più adeguato periodo di tempo indispensabile, come ho accennato in precedenza, per formare soggetti capaci di operare per quelle necessità che il vivere di oggi richiede, nell’interesse comune. Con Cesare Lavizzari, vice presidente nazionale e con Aldo Maero, della Sezione di Como, abbiamo precisato, e mi pare che questi giovani lo abbiano accettato di buon grado, che dovranno fare ancora molto per essere veri alpini, ma che noi li aiuteremo tenendoli per mano e camminando insieme a loro per le molteplici vie della solidarietà umana .

    Con questa solenne promessa abbiamo posto i nostri cappelli uno accanto all’altro: a me pare stiano molto bene e penso che questa immagine sarà sicuramente per tutti bene augurante!

    Nelson Cenci
    M.A.V.M. Divisione Tridentina, 6º Alpini, Btg. Vestone, 55a Compagnia

    Pubblicato sul numero di gennaio 2010 de L’Alpino.