“Con lo spirito che abbiamo ereditato”

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    Sul piazzale della scuola Nikolajewka di Brescia, realizzata dagli alpini per aiutare ragazzi in difficoltà, sabato pomeriggio, 28 gennaio, si è svolta la commemorazione della battaglia sostenuta dalla Divisione Tridentina 69 anni fa per rompere un accerchiamento che avrebbe portato all’annientamento decine di migliaia di soldati. Avvenimenti lontani, ma sempre presenti nella memoria di noi tutti e in particolare dei reduci Ugo Balzari, Giobatta Danda, Beniamino Salvadori, Angelo Viviani, Rino Daldosso, Domenico Pasi, Luigi Sottini e Agostino Floretti che si ritrovano ogni anno per ricordare tanti compagni rimasti nella steppa, ma anche per osservare nei loro volti i segni del tempo e contare le assenze.

     

    La cerimonia, essenziale nella sequenza dei momenti rituali, incomincia con l’ingresso nell’area dei gagliardetti, tantissimi, e dei venticinque vessilli con in testa quello della sezione di Brescia affiancato dal presidente Davide Forlani. A seguire le autorità civili e militari, compresa una delegazione russa guidata dal gen. Alexander Prikhodko, addetto militare aeronautico e per la Difesa, e dal col. Sergey Chukhrov, addetto militare aggiunto, il gonfalone di Brescia con il sindaco Adriano Paroli, i gonfaloni delle città contermini e l’assessore provincale all’Istruzione Aristide Peli. Chiude il Labaro dell’ANA scortato dal vice presidente vicario Sebastiano Favero, dal vice comandante delle Truppe alpine gen. D. Fausto Macor e da una decina di consiglieri nazionali. Rende gli onori militari un picchetto del 5° Reggimento. L’alzabandiera è sempre un momento che non lascia indifferenti. Salgono in contemporanea, mentre la banda esegue gli inni nazionali russo e italiano, le bandiere di paesi che un tempo si trovarono a scontrarsi su fronti avversi in una partita mortale.

    Dopo la deposizione delle corone, per gli italiani e per i russi, prende la parola il reduce Ugo Balzari del 5° Reggimento, battaglione Edolo, che al tempo faceva parte del gruppo portaordini sciatori. Ricorda con compiacimento la frase di un russo: “Per fortuna, voi italiani non fate la guerra con odio”. E aggiunge un po’ commosso: “I fatti che racconto annegano nel sangue”. Di sangue ne ha visto tanto, perché don Gnocchi, nei giorni degli scontri che seguirono all’ordine di abbandonare la linea del Don, lo ha voluto con sé nell’opera di assistenza ai feriti e di sepoltura dei morti. “Il santo prete – racconta – portava ben visibile la croce rossa sul petto, mai la pistola d’ordinanza. Passava in mezzo a quella umanità sofferente per confortare e per non lasciare senza una provvisoria sepoltura i Caduti. Italiani e russi, senza differenza, dopo aver dato la benedizione e fatto togliere i piastrini. Diceva: qui ci sono solo creature di Dio”. Un giorno in cui gli enormi carri armati T34, ben piazzati per impedire la conquista di un villaggio essenziale per il pernottamento e la sopravvivenza, avevano fatto una strage lo sentì gridare: “Dio, Dio, Dio, perché?”.

    Il gen. D. Macor, dopo aver portato il saluto del comandante delle Truppe alpine gen. C.A. Primicerj, ringrazia quanti mantengono vivo il ricordo di avvenimenti che oltre ai soldati hanno coinvolto anche tante famiglie. Tra queste c’è la sua, con uno zio del 3° artiglieria da montagna disperso in quella tragica ritirata. Sottolinea come la capacità operativa e la resistenza dei nostri alpini in Russia, e anche oggi, non si improvvisa: è frutto di una preparazione che ha come riferimento essenziale la montagna. “Ci auguriamo – conclude – di essere degni di questa grande tradizione e fedeli ai valori di chi ci ha preceduto”.

    Il vice presidente nazionale vicario Favero nel rivolgere un saluto ai presenti ed in particolare alla delegazione russa, invita a riflettere come gli avvenimenti che “ricordiamo siano un segno forte di quello che gli alpini sanno fare. I nostri soldati erano determinati a ‘tornare a baita’. Anche oggi, nonostante le difficoltà economiche e morali in cui versa il paese, siamo impegnati a mantenere lo spirito e la tenacia che abbiamo ereditato come consegna. Ed è nei segni di solidarietà, come la costruzione della casa per Luca Barisonzi, che dimostriamo cosa vuol dire essere alpini”. E chiude: “Fin che ci sarà un alpino ci sarà speranza per l’Italia”.

    In piazza della Loggia, con la resa degli onori ai Caduti, la sfilata fino in piazza Duomo, la Messa presieduta dal vicario generale della diocesi di Brescia mons. Gianfranco Mascher e concelebrata dai cappellani militari, l’interessante conferenza sulla “Campagna di Russia”, la presentazione del libro “Diario e Lettere dal Fronte Orientale” del ten. M.O.V.M. Giuseppe Perego, da parte del col. Gioacchino Gambetta, si chiude una giornata speciale in memoria degli oltre ottantamila giovani svaniti nel nulla. Quasi tutti in meno di due settimane.

    v.b.