Con gli alpini ad Herat

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    Ci sono volute undici ore di volo sulla direttrice Roma-Abu Dhabi per raggiungere la base italiana di Herat. Seduti sugli scomodi sedili a rete del C-130 dell’Aeronautica militare in partenza dagli Emirati Arabi c’è un piccolo plotone dell’ANA guidato dal presidente Corrado Perona, con Federico Di Marzo, delegato ANA a Roma, i consiglieri nazionali Giovanni Greco, Cesare Lavizzari e Angelo Pandolfo, il webmaster di https://www.ana.it Michele Tresoldi, e il vostro cronista.

    È una visita storica per l’Associazione che ha voluto essere nel teatro operativo per salutare e far sentire la vicinanza agli alpini in armi che passano il Natale lontano da casa e dagli affetti più cari. Con gli alpini in congedo viaggiano i militari in armi di varie specialità, un’avanguardia che ha il compito di effettuare le ricognizioni per preparare la missione della brigata Julia quando, a marzo, darà il cambio alla Taurinense. C’è qualche ufficiale, ma sono per lo più ragazzi, molti dei quali sposati e già papà, ognuno con la propria storia. Sullo spallaccio della divisa mimetica hanno gli stemmi di riconoscimento dei loro reparti, su quello sinistro, il lato del cuore, il nostro Tricolore.

    Alla base di Herat “Camp Arena”, qualche chilometro quadrato rubato alla sabbia e alle pietre, risiede il comando italiano della missione guidata dal gen. B. Dario Ranieri che ha salutato il presidente Perona e la delegazione alpina giunta in visita. La base è un crocevia di lingue e nazionalità diverse con una prevalenza per i militari spagnoli che la condividono con i nostri connazionali. Al suo interno, con il passar del tempo, sono stati aperti negozi, bar, pizzerie, la maggior parte gestiti da afgani, che la domenica, giorno di mercato, affollano rumorosi piazza Italia – il piazzale principale della caserma – con ogni genere di mercanzia.

    I militari italiani in missione sono 3.300 di cui 1.500 alpini che costituiscono ben l’80% delle forze operative sul territorio; i restanti, appartenenti a varie specialità, si occupano dei servizi, della parte amministrativa e della sussistenza: a Herat i cuochi preparano 6000 pasti al giorno di ottima qualità, tanto che i militari di altri Paesi di passaggio a “Camp Arena” non disdegnano affatto un salto alla mensa italiana prima di rientrare alle basi d’appartenenza.

    Alla base di Herat sono di stanza gli alpini del 3° reggimento e in particolare la 34ª Compagnia, i “Lupi dell’Assietta”, comandata dal capitano Luca Del Sole, origini abruzzesi, alla quarta missione in Afghanistan. Chiediamo com’è lasciare a casa moglie e due figli per andare in missione; risponde sorridendo: “Quando su Skype vedo i piccoli correre e far rumore, penso che il vero lavoro faticoso é quello che fa mia moglie”.

    La squadra che comanda è formata da quindici alpini, provengono da tutt’Italia e la maggior parte sono veterani alla quarta missione, come il tenente Andrea Vittorio di Udine, o alla sesta, come il caporal maggiore capo Matteo Floris, sardo di Mogoro. Il bocia del gruppo é il caporal maggiore Marco Paolini, alla prima missione: “Scrivete che saluto la mia ragazza Aurora… Per Natale non rientrerò perché sono uno dei più giovani e uno degli ultimi arrivati”.

    Con loro c’é il primo caporal maggiore Jorge Andres Pasqual, torinese di origini colombiane, fiero e orgoglioso di far parte degli alpini. Sono un bel gruppo, in maggioranza di nemmeno trent’anni che dimostrano più della loro età. Per uscire in pattuglia occorre avere un affiatamento particolare, non solo tra alpini, ma anche con i compagni di altre specialità, ognuna con uno specifico compito: i trasmettitori del 232ª Compagnia di Avellino e i genieri del 32° rgt. genio guastatori che precedono la colonna e hanno il delicato e pericoloso compito di individuare e disinnescare gli ordigni improvvisati, gli IED, che esplodono al passaggio dei mezzi. Questi ordigni sono di foggia e fattura diverse, la fantasia purtoppo non ha limiti. Alcune rare volte sono addirittura trappole simulate.

    Gli apparati di controllo a distanza registrano ad esempio le immagini di un uomo che nasconde qualcosa nel terreno, in prossimità di una zona di passaggio dei mezzi. Il comandante decide di inviare i reparti del Genio, scortati da altre Unità; uomini e donne, esposti anche al rischio di un’imboscata, operano ore per risolvere la minaccia. Nel frattempo chi ha posizionato la trappola studia come i reparti di Isaf si muovono e si adatta di conseguenza, come in una partita a scacchi con il destino. L’azione di prevenzione è supportata dall’occhio vigile dei “Raven”, piccoli aerei spia in dotazione alle truppe di terra, o dei Predator, i velivoli senza pilota utilizzati dalla task force “Astore”.

    Il suo comandante, maggiore Iury Topini, spiega che le operazioni dei reparti sul campo hanno l’appoggio di una tecnologia che ne ha rafforzato l’efficacia, anche se ribadisce che la componente umana è essenziale per la riuscita delle operazioni. I Predator sono controllati a distanza da un team di piloti, analisti e operatori che lavorano in sinergia tra loro, con i comandi e i reparti sul campo. E, con orgoglio, Topini sottolinea che l’Italia é all’avanguardia in questa tecnologia e le diecimila ore di volo effettuate dal 2007 in Afghanistan sono un bagaglio d’esperienza che pochi Paesi possono vantare.

    Ma Herat non è il solo luogo dove saggiare la parte più operativa della missione. Occorre recarsi più a Sud, a Farah, Shindad, Bala Baruk. Saranno quelle le prossime destinazioni del presidente Perona e degli alpini dell’ANA che incontreranno il 9° reggimento. Come ci dicono in gergo: “Condimeteo permettendo”.

    Matteo Martin