Caro amico, ciao

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    Alle dieci di mattina di venerdì 17 febbraio ricevo una telefonata: questa notte Carlo Vicentini è “andato avanti”. Resto frastornato: ho perduto un grande amico, vero e schietto. Non so che fare o che dire. Prendo tempo. Dal librone “Aosta ’41: c’ero anch’io” cerco qualche cenno a Carlo, che fu allora con me nei Battaglioni universitari, mandati dal duce in guerra con una circolare speciale (la 4080/B/21!) che aboliva ogni esenzione. Carlo Vicentini in quella retata era uno dei più anziani. 

     

    Era nato a Bolzano nei 1917 da genitori trentini, si trasferì a Roma insieme alla famiglia per via del lavoro del padre. Ed è lì, in collina, a Monte Porzio Catone che lo scorso mese di dicembre ha festeggiato 99 anni. Al telefono l’avevo sentito ancora vivace e come sempre scherzoso. Abbiamo riso insieme ricordando quel suo disegno essenziale e arguto dei tre alpini che cantano in coro, sullo sfondo il Cervino (copertina di dicembre de L’Alpino, ndr).

    Gli piaceva cantare, alla Scuola allievi ufficiali alpini di Bassano eravamo vicini di letto, in ordine alfabetico, così alla sera era facile trovarsi in libera uscita. Un gruppetto di amici canterini, spesso attorniati da un uditorio che applaudiva volentieri. Nel 1942, a fine corso, fummo entrambi spediti in Russia, lui con gli alpini sciatori del battaglione Monte Cervino, io nell’8º Alpini della Divisione Julia. Ma in Russia non ci incontrammo mai, anche se impegnati nella stessa zona di fronte.

    Carlo, meno fortunato di me, finì prigioniero mentre stava per uscire dall’accerchiamento! Potè rientrare in Italia solo nel 1946, dopo una orrida e crudele prigionia che seppe descrivere magistralmente, oltre che in moltissimi incontri nelle scuole medie e superiori, nei gruppi alpini e in pubblico, anche nelle pagine del suo famoso libro “Noi soli vivi”. Un lavoro straordinario, da certosino, manifesto di memoria e capacità meravigliose.

    Ci incontrammo solo nel 1987, alla 60ª Adunata nazionale a Trento, proprio per l’Unirr che lui già seguiva e propagandava, in collaborazione diretta col fondatore capitano Melchiorre Piazza e della quale fu, in tempi più recenti, anche Presidente. Da allora ci si vedeva e frequentava sovente. Carlo, naturalmente amante delle montagne trentine, stava un po’ d’estate e anche d’inverno in Val di Fassa, dove con la moglie poteva abitare in un complesso turistico in comproprietà.

    Come a casa, anche lì era sempre occupatissimo fra documenti e ricerche, bollettini ed elenchi di dati e notizie di prigionieri italiani in Russia, morti o dispersi, operando in coppia con l’amico Paolo Resta o con altri reduci dell’Unirr, con Onorcaduti e con l’Albo d’Oro per la ricerca e il recupero delle salme. A Carlo Vicentini dobbiamo tutti la più viva e commossa riconoscenza proprio per questo immenso lavoro di ricerca e di studio, con zelo e passione generosa, cui dedicò buona parte della sua lunga vita. Ciao carissimo Carlo! E che il Signore te ne renda merito!

    Tuo Guido Vettorazzo