Capitano Quaquaraqua

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    Caro direttore, sono un alpino in congedo da 45 anni della provincia di Cuneo. Sono iscritto all’ANA da molti decenni per cui, con interesse ed affetto, leggo sempre la rivista L’Alpino.

    Ebbene, in tutti questi anni di orgogliosa appartenenza all’Associazione non posso comunque dimenticare il capitano che ci comandava: persona insensibile, superba, molto distante dalla truppa, il quale ha reso la nostra permanenza nelle Truppe Alpine un vero inferno. Si era puniti per un nonnulla, la nostra permanenza all’“Hotel Bristol” nelle ore notturne era la prassi. Come, durante l’adunata del sabato mattina, comunicarci con gioia che i “trentasei ore” erano sospesi. E tanto altro ancora: marce di punizione (a cui non partecipava), allarmi notturni di “difesa caserma” in pieno inverno, a “tanto” sottozero ecc. Senz’altro la mia è una lettera fuori dal coro però dopo tanti anni ho voluto raccontarvi la mia esperienza di naja, non da imboscato.

    Alpino Gianluigi Amici – Sanremo (Imperia)

    Caro Gianluigi, la tua lettera mi suggerisce due considerazioni. Prima di tutto l’invito a non generalizzare. Io ho un ricordo bellissimo dei miei “comandanti”, dal tenente Amateis, al capitano Piermarini, al generale Verdozzi… Certo, anche tra i militari, come in tutte le categorie, c’è sempre qualcuno che maschera la mancanza di equilibrio sotto i panni grigioverde, ma è anche abbastanza facile capire dove finisce il dottor Jekyll e comincia mr. Hyde. E la seconda considerazione riguarda proprio il fiuto dei ragazzi, già in età scolare e poi, su su, nella giovinezza, nel capire subito la differenza tra un vero uomo e un quaquaraqua.