Bestie da guerra

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    Il signor David Martin non credeva ai propri occhi quando ha scoperto nella canna fumaria del suo vecchio camino le ossa di quello che sarebbe risultato un piccione. Un piccione viaggiatore, con tanto di capsula e messaggio cifrato, scritto alle 16,45 del 6 giugno 1944, mentre era in corso lo sbarco alleato in Normandia. Il piccione, probabilmente sfinito dal lungo volo dalla costa francese era riuscito ad evitare quell’inferno di bombe, pallottole e soprattutto i falchi addestrati dai tedeschi per intercettare questi messaggeri alati, per finire nel camino di un tranquillo cottage del Surrey, a pochi chilometri dal comando dei servizi segreti britannici.

    Questo episodio ci riporta all’impiego degli animali nelle guerre degli uomini, al quale è dedicato un interessante saggio, appassionante non meno d’un romanzo, scritto da Giuliano Ferrari, generale di C.A. degli alpini, già comandante della Julia, incarichi alla Scuola di guerra dell’Esercito e tanti altri ancora e dalla figlia Maria Maddalena, psicologa del lavoro e docente universitaria: il curriculum di entrambi è riassunto perché occuperebbe troppe righe… Il titolo dice tutto: Bestie da guerra, Storie – Curiosità e riflessioni sull’impiego degli animali per scopi bellici.

    Diamo atto agli autori di aver portato a termine una ricerca che avrebbe scoraggiato i più e di aver coperto praticamente tutto l’arco del tempo e degli impieghi di quelle che vengono definite “bestie da guerra” e che sono, nella quotidiana realtà, i nostri compagni del mondo animale. Dei quali l’uomo non esita a servirsi in ogni modo e nelle più svariate circostanze. Erodoto racconta che il re medo Ciassare, vissuto a cavallo del VII-VI secolo a.C. fu il primo a separare, nello schieramento di battaglia i cavalieri da picchieri e arcieri fino ad allora disposti alla rinfusa. E a istituire l’angareion, un servizio rapido di corrieri, imitato dal persiano Ciro il Grande per collegare le città del suo vasto impero.

    Per non dire dei cursores romani che riuscivano a percorrere fino a 270 chilometri al giorno sfruttando le stationes postae e del formidabile commercio avviato dai bergamaschi Della Torre-Tasso, dinastia divenuta poi Thurn und Taxis che fece fortuna con il servizio di corrieri organizzato in stazioni di posta in mezza Europa. L’impiego maggiore del cavallo è stato in guerra, bardato e corazzato non meno del suo cavaliere. Del mulo è inutile parlare agli alpini: l’epopea che avvolge questo grande, paziente amico al quale tanti alpini devono la vita fa parte della loro storia e del loro affetto.

    Il cane sarà anche, come si dice, il miglior amico dell’uomo ma può esserne anche il peggior nemico. Già nel 2100 a.C. gli egizi del faraone Hammurabi impiegavano in battaglia cani di grossa taglia che assalivano di slancio i soldati nemici, atterrandoli e azzannandoli alla gola. Fortunatamente ci sono anche i cani da guardia, come quei 50 che nel 404 a.C. attaccarono gli assedianti di Corinto e furono tutti uccisi tranne uno che tornò all’accampamento e mettendo in allarme i soldati salvò la città e fu “premiato” con il nome sul collare come difensore e salvatore di Corinto.

    Durante la seconda guerra mondiale il ricorso ai cani fu davvero massiccio (non meno di 250mila) per attacco singolo, staffette, traino di slitte, e, ovviamente, guardia dal finissimo fiuto e udito. Rendiamo loro giustizia anche in senso civile e di gratitudine: ai cani che consentono ai ciechi di muoversi, a quelli che fanno compagnia, ai cani da pet terapy, ai cani da ricerca e a quelli che in tanti modi sono davvero il miglior amico dell’uomo. Poi, le oche, tutt’altro che stupide, come si pensa. Come sentinelle, involontarie quanto preziose, sono nei nostri ricordi dei primi anni di scuola per lo storico allarme dato starnazzando dalle oche sacre del Campidoglio durante l’assedio di Roma dei Galli, nel 386 a.C.

    Per non dire degli uccelli che con il loro comportamento danno segnali di vario tipo all’uomo, perfino con il loro silenzio. Non c’è animale, o se volete bestia, che non sia stata impiegata dall’uomo in guerra, dall’elefante ai delfini, ai cosiddetti comprimari: dalle vespe agli scorpioni che venivano gettati addosso agli assalitori dalle mura. E infine il ricorso a carogne di animali e acque infette per diffondere malattie in territori nemici e le moderne biotossine, nemici invisibili. L’uomo si serve di bestie anche per la loro simbologia. Avviene nell’araldica.

    Vi ricorsero i romani per le loro insegne finché il console Caio Mario decise che era solo l’aquila ad ali spiegate e con un fulmine fra gli artigli quella degna di rappresentare la gloria di Roma. L’insegna era portata dall’aquifer (colui che porta l’aquila) donde il nome di alfiere all’ufficiale che porta la bandiera. Sarebbe impossibile raccontare tutto il libro, che è denso di notizie e aneddoti talvolta non privi di una sottile ironia che ne rende piacevole la lettura.

    Giangaspare Basile