Aosta: sar una sfilata lunga cinquemila anni

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    La sfilata e Aosta.

    di Umberto Pelazza


    Dal profondo di questi scavi cinquanta secoli ci guardano , si lascerà sfuggire il collezionista di frasi storiche. Tanto, infatti, separerà l’11 maggio i blocchi di sfilamento dall’area infossata sul declivio collinare della semileggendaria Cordelia: nel sottosuolo giacciono ancora indisturbati i resti di quella che sarebbe diventata l’Augusta Praetoria romana e l’Aosta attuale. Gli antichi abitanti avevano vissuto le ultime fasi dell’età della pietra, l’apertura delle vie transalpine, il passaggio dal rame al bronzo e al ferro.
    Stele antropomorfe e tombe megalitiche costituiscono testimonianza unica nell’archeologia europea.
    Il sole del mattino illumina sulle estreme propaggini delle Graie il candido fondale del ghiacciaio del Rutor: invisibile, per la distanza, la bianca madonnina collocata in vetta mezzo secolo fa dagli esploratori della Scuola Militare Alpina. Di carducciana memoria, la vicina svettante piramide della Grivola lancia le sue creste affilate a sfiorare i quattromila metri.
    Via Capitano Chamonin e via Capitano Darbelley: valligiani venuti dalla gavetta, comandarono truppe da montagna valdostane, canavesane e biellesi un secolo prima di Perrucchetti. Via Chambery: sul rettilineo che ricorda l’antica capitale transalpina del ducato sabaudo incombe la maestosa presenza delle cime cittadine: l’Emilius, m. 3357 (la quattordicenne Emilia Argentier, prima alpinista sulla vetta nel 1839, fece lo sgambetto a papa Pio IX, cui si voleva intitolare la montagna) e la Becca di Nona (gigantesca lancetta dell’orologio celeste, scavalcata dal sole alle 11, quando in cattedrale s’iniziava il breviario di nona).
    Al primo incrocio lo sguardo di tante nappine rosse si volge verso piazza della Repubblica, che fu palestra medioevale per tiro a segno con arco e archibugio, accampamento delle truppe napoleoniche, passeggio fuori porta dell’Aosta bene, palcoscenico per fuochi di gioia e impiccagioni, piazza d’armi per gli alpini di Adua, Libia, Vodice e Solaroli e infine sede della caserma Testafochi, che fra le sue vecchie mura dagli echi sopiti conserva il Sacrario del battaglione Aosta e la sede sezionale dell’ANA.
    L’affiancano i resti bimillenari della Porta Decumana , che introduce nella cinta muraria augustea. Si sfiora la Torre del lebbroso nella quale il savoiardo Xavier de Maistre, autore del romanzo breve Il lebbroso della città di Aosta, ambientò le vicende di un viaggiatore di passaggio colpito dal grave morbo. Ritorniamo ai giorni nostri in piazza Deffeyes, dove luccicano le vetrate del Palazzo Regionale, sede amministrativa di un territorio che, dopo un passato agricolo seguito da una fase industriale, nel dopoguerra si è decisamente orientato verso il terziario. Di fronte, sul rettangolo prativo adiacente al collegio medioevale di S. Benin, dal XVIII secolo centro d’istruzione laico per la classe dirigente valdostana, un masso granitico ricorda i Caduti della Guerra di Liberazione: al più illustre, la Medaglia d’Oro alpina Emilio Chanoux, è stata dedicata la vicina piazza, dove, dal 1839, sorge l’edificio neoclassico dell’Hotel de Ville, il palazzo comunale. Nel suo Salone d’Onore, il 9 gennaio 1934, fu solennemente celebrata la nascita della Scuola Centrale Militare di alpinismo.
    Nel recinto fiorito, fiancheggiato dalle due sculture fluviali della Dora Baltea e del Buthier, l’alpino in bronzo di Canonica ricorda i Caduti di tutte le guerre. Non c’era ncora ottant’anni fa quando la città accolse le settemila penne nere della 4ª Adunata nazionale e la piazza si chiamava Carlo Alberto .
    Il fogliame del giardino pubblico lascia appena intravedere la Tour du Pailleron , l’unico bastione murario romano conservato nella sua interezza, sia pure rappezzato dopo un incendio, e le statue convenzionali di Cesare e Augusto, dono di Mussolini, a poca distanza dal più trasgressivo Roi Chasseur , Vittorio Emanuele Il, celebrato come sterminatore di stambecchi della Riserva reale (attuale Parco del Gran Paradiso; paradossalmente lo si dovrebbe ringraziare: riservandosi l’esclusivo diritto venatorio, salvò la specie dall’estinzione).
    Uno spartitraffico di duemila anni, relitto di un bastione smembrato, segna l’uscita dal centro storico; appare di scorcio la maestosa Porta Praetoria: due complessi a tre fornici, separati da un cortile d’armi.
    Il livello di base primitivo, due metri e mezzo sotto l’attuale piano stradale, rivela l’imponenza della struttura.
    La sfilata volge al termine lungo il rettilineo fiancheggiato dallo stadio cittadino, dedicato alla memoria di Mario Puchoz, alpino del battaglione sciatori Monte Cervino , caduto durante la vittoriosa spedizione al K2.
    Ultima svolta a nord: mentre all’orizzonte si staglia l’elegante candida silhouette dell’elvetico Grand Combin (m. 4314), dalla folta vegetazione della vicina collina di Beauregard sbucano le torri liberty del castello Cantore , sede di comando del Centro Addestramento Alpino, più noto come Scuola Militare Alpina.
    Traguardo di arrivo della sfilata è il più famoso monumento della romanità in valle, l’arco trionfale d’Augusto. Lo sfiora il torrente Buthier, che già in epoche passate
    aveva portato distruzione e morte allo sbocco nella conca aostana: testimoni il vicino ponte romano, sull’antica Via delle Gallie, oggi all’asciutto a causa dello spostamento d’alveo, e il crocifisso posto nella luce dell’arco, per esorcizzare le imprevedibili forze della natura.
    Il percorso ha dovuto aggirare i tracciati delle strade romane, resi angusti e tortuosi dalle irregolarità delle costruzioni medioevali: angoli suggestivi e memorie di grande interesse sono disponibili però …all’iniziativa privata, agevolata dalla modesta estensione dell’agglomerato urbano in cui si concentrano. La Porta Praetoria separa l’area ricreativa pagana dal complesso ecclesiale dei primi cristiani. Da una parte la superba facciata meridionale del teatro, alta 22 metri, con scena e gradinate (capienza 3/4000 spettatori), e i resti dell’anfiteatro, i cui clamori si sono spenti nei cortili e nei corridoi di un monastero. Dall’altra la Collegiata di Sant’Orso, innalzata a cavallo del Mille su un sito cimiteriale. Staccata dal corpo dell’edificio, si erge per 46 metri la torre campanaria romanica, la più imponente di tutta la valle (fu anche palestra, nella prima metà del XX secolo, dei pionieri dell’alpinismo).
    Il monumento più suggestivo è il chiostro, risalente al XII secolo: i bassorilievi dei suoi capitelli, definiti un poema di marmo , sono un curioso accostamento di Bibbia, Vangelo, favole, allegorie, motivi ornamentali.
    Nell’area del Foro romano, attraversata da un criptoportico, è stata eretta la cattedrale di Notre Dame, sintesi mirabile della storia religiosa cittadina: battistero paleocristiano, affreschi dell’alto medioevo, campanili romanici, sculture gotiche, atrio rinascimentale, altari barocchi, facciata neoclassica.
    Nel sottosuolo del vicino Museo Archeologico sono stati scoperti i resti della Porta principalis sinistra romana: sotto la sua arcata transitarono nel 286 i militi cristiani della Legione Tebea, diretta in Elvezia e destinata al martirio. Sedici secoli dopo, il loro comandante Maurizio, proclamato santo, diventerà patrono delle truppe alpine.