Andreas Hofer: dalla val Passiria contro Napoleone

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    Lo chiamavano il Barbone: viso tondo e paffuto, sorriso mite, sguardo profondo, nessun atteggiamento da cospiratore; era noto anche come Sandwirt, l’oste di Sand, paesino presso San Leonardo della val Passiria (in Alto Adige) dov’era nato nel 1767 e dove viveva con la moglie e cinque figli. Era un pezzo d’uomo grande e grosso: un rapporto della polizia francese postillava così le sue note caratteristiche Il suo fisico piace molto alle donne . Una folta barba gli incorniciava il volto: aveva giurato di non tagliarsela finché non fosse riuscito a cacciare i bavaresi dal Tirolo. Siamo nel 1805. Sullo scacchiere europeo si stanno fronteggiando due imperatori: uno, Napoleone, è di fresca nomina, l’altro è l’erede dell’antica Casa d’Asburgo, Francesco II d’Austria.

    Il 21 ottobre a Ulma e il 2 dicembre ad Austerlitz, gli austriaci sono stati seccamente sconfitti dalla Grande Armée ; i francesi hanno sottratto la Baviera al loro dominio e si sono procurati un sicuro ed utile alleato al quale hanno regalato il Tirolo austriaco, che comprendeva oltre ad Innsbruck, anche Bolzano e Trento: il duca di Baviera ritiene doveroso proclamarsi re.

    I nuovi padroni del Tirolo, tradizionali avversari dell’Austria, commisero subito due errori gravissimi: se la presero col clero (errore imperdonabile fra gente di montagna), cacciando prelati, sopprimendo feste religiose, abolendo privilegi, limitando perfino il suono delle campane; e introdussero la coscrizione obbligatoria, fino allora sacra prerogativa della Dieta regionale. Somma delle ignominie, il Tirolo prese il nome di Baviera del Sud!

    La chiamata alle armi conseguì l’effetto che si sperava a Vienna: i monti si trasformarono in sicuri nascondigli per i numerosi disertori che, con l’aiuto di emissari austriaci, si riunirono nelle prime formazioni di guerriglieri. La rivincita di Austerlitz sarebbe cominciata dal Tirolo: dalla loro fortezza naturale montana, cerniera fra la piana bavarese a nord e la pianura padana a sud, i tirolesi avrebbero appoggiato la duplice offensiva austriaca. La parola d’ordine era Nessun bavarese deve varcare vivo il Brennero : lo scoppio dell’insurrezione fu stabilito per il 9 aprile 1809. Mancava però una chiara visione della situazione effettiva.

    L’astro napoleonico era allora nel suo pieno fulgore e l’Austria aveva collezionato una serie di insuccessi. Una lotta di bande irregolari alpine quale risultato avrebbe potuto conseguire senza la presenza di consistenti forze regolari in pianura?Ma Hofer era guidato da una logica istintiva. Entrava in campo per difendere la religione e il focolare, l’antico contro il nuovo, l’ordine contro il disordine, combatteva per l’Austria che incarnava da sempre questi principi, non per la libertà: la sua era una rivoluzione di controrivoluzionari.

    Gli insorti agirono fulminei lo stesso 9 aprile, obbedendo al segnale dei fuochi accesi sui monti. Sorpresi dalla fitta e violenta azione di fucileria che li investiva da ogni parte degli scoscesi versanti boscosi e dai fulminei attacchi scagliati all’improvviso contro i reparti isolati, i bavaresi di presidio in Val Pusteria dovettero rapidamente battere in ritirata, perseguitati da continue imboscate, fino a Innsbruck. E dopo soli quattro giorni la città era in mano ai rivoltosi esultanti. Quando, a cose fatte, giunsero gli austriaci, Hofer aveva già avuto tempo di ordinare pubbliche preghiere e imporre misure per il mantenimento dell’ordine e della disciplina.

    Regolari e irregolari, unite le loro forze, conquistarono Trento; quando la breve campagna si concluse con la liberazione di Rovereto i tirolesi avevano già catturato due generali, 130 ufficiali e 6.000 soldati. Hofer, novello Cincinnato, depose le armi e ritornò alla sua osteria. Ma gli austriaci non furono altrettanto fortunati quando si scontrarono in campo aperto contro i francesi e lasciarono la porta aperta a Napoleone, deciso a togliersi dal fianco la fastidiosa spina tirolese. I bavaresi ritornarono, protetti dall’ombrello francese e la disparità delle forze costrinse gli insorti a rifugiarsi sui monti. Hofer non si perse d’animo: riorganizzò le bande, riuscì a ottenere dall’Austria due pezzi d’artiglieria e con 12.000 uomini divisi in tre colonne, ripartì cocciuto all’attacco di Innsbruck: al suo fianco procedeva il frate cappuccino Haspinger, tenendo alto il Crocifisso, come un antico crociato.

    La battaglia si concentrò intorno al monte Isel (il Bergisel, sarà il nome della lega tirolese) e i bavaresi furono ricacciati in città, dalla quale si allontanarono silenziosamente durante la notte, dopo aver fasciato di paglia le ruote dei carriaggi e dei cannoni. Per la seconda volta Hofer rientrò in Innsbruck da trionfatore. Un corpo di spedizione francese mandato a spazzar via gli insorti, fu sorpreso nella strettoia di Mules, tra Vipiteno e Bressanone, e decimato: il comandante, maresciallo Lefebvre, salvatosi a stento dopo aver perso giacca e cappello, scrisse a Napoleone: È la prima volta che mi son ritirato, e mi è toccato farlo davanti a contadini furiosi, più furbi dei selvaggi.

    Ho ricevuto una pietra sul ginocchio qui me fait un mal du diable’ . Anche in Pusteria, in Val Venosta, a Trento, i Tirolesi ebbero la meglio: il piano di Napoleone subì uno smacco. Ma l’oste di San Leonardo, animato da una fiducia incrollabile nella Provvidenza, non poteva trasformarsi in pochi mesi in uomo politico. I suoi proclami, imperniati essenzialmente sulla lotta ai cattivi costumi, rivelano le sue insufficienze nell’azione governativa. Protestanti ed ebrei furono emarginati, vietato il divorzio, perseguitato l’adulterio, abolite le feste danzanti. L’abbigliamento femminile subì drastiche restrizioni: le donne si coprono il petto e le braccia troppo poco o con veli trasparenti .

    Il trattato di pace aveva imposto all’Austria la cessione del Tirolo: quattro colonne di francesi e bavaresi fecero irruzione nel ridotto montano. I rivoltosi opposero una strenua resistenza, specialmente in val Gardena e in valle Aurina: Hofer conseguì gli ultimi successi proprio nella sua terra natale, San Leonardo di Passiria. Ma alla fine lo sconforto s’impadronì del suo animo anche se non modificò la sua visione cristiana dell’esistenza: Non possiamo combattere contro la potenza invincibile di Napoleone, le vittorie e le rivoluzioni sono le conseguenze dei disegni immutabili della Provvidenza . La situazione gli era decisamente sfavorevole: il suo imperatore stava già trattando il matrimonio della figlia Maria Luisa con lo stesso Napoleone e aveva praticamente abbandonato il Tirolo al suo destino.

    I capi dell’insurrezione fuggirono in Austria; Hofer preferì rifugiarsi con pochi amici su quelle montagne che l’avevano visto più volte vincitore e riparò in un fienile. Sul suo capo fu messa una taglia di 1500 fiorini, che fece gola a un mendicante, un certo Haffel, il quale rivelò il nascondiglio ai francesi. Per catturarlo il generale Baraguay d’Hilliers inviò mille soldati ed altri duemila a presidiare la valle per impedire reazioni della popolazione.

    Hofer non volle mettersi in salvo, dopo la cattura chiese solo di non far del male a sua moglie e ai suoi bambini. I francesi, che avevano l’ordine di Napoleone di processarlo e subito giustiziarlo, lo trasferirono a Mantova, lontano dalla sua terra. Invano gli stessi mantovani offrirono cinquemila scudi per riscattarlo. Anche la domanda di grazia di Francesco II a Napoleone arrivò dopo il 20 febbraio 1810, quando Andreas Hofer, dopo un simulacro di processo, era già stato fucilato sul bastione di Porta Ceresa. Carissimo fratello aveva scritto alle 5 del mattino, poco
    prima di essere fucilato la volontà di Dio è che io passi qui a Mantova dalla vita all’eternità; che Dio sia benedetto per la sua divina grazia che mi rende la morte così facile .

    Con uno di quei voltafaccia che la ragion di Stato può giustificare ma che appaiono incomprensibili agli occhi dell’uomo comune, qual era l’oste della val Passiria, tre settimane dopo il nemico di Dio e del Tirolo , Napoleone Bonaparte, impalmava la figlia dell’imperatore d’Austria, per il quale Andreas Hofer aveva combattuto e sacrificato la vita: sarebbe stato un testimone scomodo. Il poeta Julius Mosen gli dedicò un componimento in versi: Zu Mantua in Banden (A Mantova in catene), musicato da Leopold Knebelsberger ed ispirato al tema di un concerto per pianoforte di Ludwig van Beethoven.

    L’inno, austero e solenne, viene spesso suonato alle feste dalle numerose Musikkappelle’ altoatesine. Due anni fa qualcuno propose di adottarlo come inno ufficiale dell’Alto Adige Sudtirol, ma il presidente della Provincia autonoma Luis Durnwalder scartò l’idea, per non creare motivi di scontro tra i diversi gruppi linguistici .

    Dal tempo di Andreas Hofer sono passati due secoli. In Alto Adige il ricordo dell’eroe è molto vivo: quest’anno una serie di manifestazioni sono state organizzate nel bicentenario della storica battaglia del 1809 sul Bergisel, ad Innsbruck. Convivono laboriosamente popolazioni di tre gruppi linguistici: italiano, tedesco e ladino. Bolzano secondo le statistiche ufficiali è la città italiana più vivibile e l’Alto Adige la provincia più ricca.

    La speciale autonomia concessa con lungimiranza da due illuminati statisti, Alcide De Gasperi e Karl Gruber, ministri degli Esteri d’Italia e Austria non sempre imitati nel corso degli anni nella visione politico sociale ha consentito a questa terra bellissima di diventare l’esempio di come sia possibile, nel rispetto delle specifiche tradizioni, trasformare la diversità storico linguistica in comune ricchezza culturale ed economica.

    Non manca, ancor oggi, chi vorrebbe fare un uso distorto di questa esemplare autonomia, maturata in situazioni a volte difficili, e risvegliare fantasmi d’un passato che ciascuno potrebbe evocare non senza strumentalizzazioni a proprio vantaggio. Una cosa è certa: l’Alto Adige, nelle controversie internazionali, viene spesso indicato come perfetto modello di convivenza da imitare. Rendiamo dunque onore ad Andreas Hofer, celebriamolo come un eroe che ha dato la vita per il proprio ideale.

    E lasciamolo riposare in pace.

    Umberto Pelazza

    Pubblicato sul numero di ottobre 2009 de L’Alpino.