Alpini si nasce

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    A un certo punto della vita molti giovani hanno avuto l’occasione per obbligo, per dovere, per vocazione di servire la Patria. Per la stragrande maggioranza di costoro non è stata un’esperienza positiva; per chi l’ha fatta nelle Truppe alpine, come noi, è andata diversamente. In tanti mesi tutti in colonna non siamo riusciti ad avere un istante libero. Abbiamo verificato con stupore quanto fossero lontani i limiti della nostra resistenza fisica e psicologica; abbiamo sperimentato i pregi e i difetti della vita in comunità e le responsabilità che questa comporta; abbiamo mangiato e dormito con ragazzi di ceti e categorie sociali che mai avremmo avuto modo di frequentare; abbiamo imparato la differenza tra autorità ed autorevolezza; abbiamo sofferto e ci siamo pure divertiti.
    Tutto ciò indipendentemente dall’essere nati tra i monti, in pianura o in riva al mare: a dimostrazione che, fatte salve le eccezioni, alpini si nasce! Per valori, tradizione, famiglia, sentimenti, stile di vita. Tant’è che, una volta compiuto il sacro dovere , abbiamo orgogliosamente chiesto di far parte della nostra beneamata Associazione d’arma molto particolare: siamo un’associazione di uomini fondamentalmente liberi, onesti, laboriosi e responsabili che casualmente si sono trovati assieme per un anno della loro vita, e hanno passato questo anno a scorrazzare per le montagne, mettendo ogni giorno alla prova sé stessi, riparati
    da un buffo copricapo.
    Ma non è la leva che ci ha fatto diventare così. Al contrario! Siamo stati noi che abbiamo fatto speciale la nostra leva portando in essa tutte quelle qualità che già possedevamo, almeno in embrione, prima di fare il militare, così come rendiamo speciale la nostra Associazione portando, anche in questa, tutte le nostre qualità.

     

     

     

    Da più di un ventennio però l’opportunità di servire la Patria negli alpini, e conseguentemente di alimentare la nostra sorgente associativa, è andata diminuendo progressivamente a causa della soppressione dei reparti, lo snaturamento dell’addestramento, l’eliminazione delle tradizioni, il rifiuto ad aprire reparti alpini in Lombardia, la frustrazione degli effettivi, le carenze finanziarie, l’irrisione degli ideali …
    Se le cose non muteranno, l’opera di demolizione voluta dai poteri politici e militari si concluderà trionfalmente nel 2004, con la sospensione della leva, e conseguentemente si avrà come corollario inevitabile, anche se non immediato, la fine dell’ANA.
    In tale contesto abbiamo quindi il dovere, prima ancora della necessità di rispondere alla domanda: che sarà della nostra Associazione?
    Per la verità ce lo chiediamo da tempo in occasione di accalorate discussioni nei gruppi, alle nostre riunioni, ai nostri convegni.
    Tali discussioni hanno evidenziato, nel malcontento generale, la necessità di avviare seriamente una campagna di reclutamento dei molti che, pur avendone i requisiti, non sono iscritti all’Associazione.
    Ma il vero problema è rimasto a metà, nella speranza che, stante le ben note difficoltà a reclutare solo professionisti, si adottasse il sistema misto di arruolamento (leva e professionisti) e che si tenesse conto dei nostri suggerimenti, che per gli alpini ci fosse una eccezione. Abbiamo civilmente tentato di evidenziare a tutti i responsabili politici e militari gli errori e le incongruenze del disegno di legge che stavano approvando, abbiamo provato a scuotere coscienze intorpidite e distratte.
    Anche se il risultato della nostra azione era abbastanza scontato, abbiamo compiuto lo stesso, e fino in fondo, quello che ritenevamo essere il nostro dovere: ci siamo comportati da cittadini e non da sudditi.

     

     

     

    Conseguentemente, dobbiamo serenamente e determinatamente prendere atto che per liberarci dal tormentone, una scelta si impone tra due soluzioni:
    far buon viso a cattivo gioco e quindi continuare ad accogliere tra noi solo chi ha svolto o svolge il servizio militare negli alpini;
    far di necessità virtù e quindi considerare la possibilità che gli alpini ce li facciamo da noi.
    Come e quando?È tutto da vedere e da discutere. Insieme.

     

     

     

    Nel primo caso è necessario essere ben consapevoli che, se questa è la linea da seguire, occorrono chiarezza e coerenza, cominciando a pretendere che tutti gli associati abbiano il requisito per essere tali: aver svolto il servizio militare per almeno due mesi in un reparto alpino. Stante l’attuale sistema di arruolamento occorre però, inevitabilmente, mettere in preventivo la fine della Associazione. La seconda soluzione guarda, oltre a chi ha svolto il servizio militare negli alpini, all’associato potenziale. È quella persona, il cui stile di vita si identifica con il nostro.
    Si tratterebbe di riconoscere anche a costoro di aver guadagnato qualcosa sul campo, meglio e più di tanti imboscati nei mesi di naia e poi nella vita civile.
    Si tratterebbe di prendere atto che il vero meccanismo di aggregazione dell’ANA non è costituito dall’aver fatto qualche mese di servizio militare ma da una particolare comunanza spirituale fondata su pochi, semplici, fondamentali valori.
    Si tratterebbe di prendere atto inoltre che abbiamo ricevuto in eredità il dovere fondamentale di far si che l’Associazione non deve sopravvivere ma deve continuare a vivere, per tramandare gli ideali che non sono solo nostri ma costituiscono il fondamento della nostra Italia.
    Discutiamone. Restando uniti, determinati, fieri del nostro essere alpini, di amare la Patria e certi di essere dalla parte della ragione perché alpini si nasce .