Voglio esprimere il mio dissenso nei confronti di quanto espresso nella lettera di Giovanni Galeazzi di Milano apparsa sul numero di ottobre, quando parla che si svende il cappello alpino facendo diventare alpini dei portatori di basco. Forse non sa quanti di quei baschi, arruolati fra gli anni sessanta-settantaottanta, avrebbero voluto essere degli alpini.
L’avevano chiaramente espresso durante il colloquio davanti al colonnello al termine della visita di leva, poi non è dato sapere il motivo per cui si siano ritrovati a svolgere il loro servizio in fanteria. Porto ad esempio il mio paese: Lusiana, Altopiano dei Sette Comuni, poco lontano dalle pendici dell’Ortigara, dove hanno combattuto i nostri nonni; da sempre zona di fortissima tradizione alpina: è inspiegabile perché molti giovani di leva, figli e nipoti di alpini non siano stati arruolati nei reparti alpini, al contrario di altri del tutto disinteressati a quale Corpo sarebbero stati assegnati e che si sono ritrovati, loro malgrado, con il cappello alpino in testa.
Faccio parte del Consiglio Direttivo del mio Gruppo e l’anno scorso mi sono impegnato alla ricerca di quegli alpini definiti “dormienti”, ne ho individuati quindici, ebbene; undici di loro hanno aderito per la prima volta al tesseramento, ma solo per le mie insistenze, o in virtù di un’amicizia maturata fin dall’infanzia, non certo per interesse verso l’Associazione, alcuni di loro hanno smarrito o buttato il cappello, altri non ricordano nemmeno dove sia finito il foglio di congedo illimitato. Inutile dar da bere al mulo che non ha sete.
Credo che se togliessimo il cappello a tutti quegli alpini disinteressati per darlo ad ogni portatore di basco che si sente veramente alpino, avremmo un buon incremento di tesserati nell’ANA e certamente più collaborazione all’interno dei Gruppi e delle Sezioni. Meglio cadere in piedi, sostiene il sig. Galeazzi? Molto pericoloso dicono gli ortopedici: ci si potrebbe spezzare la spina dorsale.
Renzo Ronzani, gruppo di Lusiana, sezione di Marostica
La tua lettera, caro Ronzani, conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che l’alpinità nasce dalla testa e fiorisce nel cuore.