Alpini di cuore

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    Sono una ragazza di 18 anni, figlia, nipote e pronipote di alpini, e aspetto di terminare il liceo per poter prolungare la tradizione. Vorrei rispondere alla lettera di Devis (pubblicata in novembre 2006, n.d.r.) che critica i cappelli alpini venduti alle Adunate a non alpini. È vero che il più delle volte chi li acquista non ne conosce il significato profondo, ma è pur vero che capita che chi, per un motivo o per l’altro, non ha potuto o non può prestare servizio militare, desidera possedere questo simbolo. In questi casi, forse con un po’ di presunzione, ci si considera non alpini d’armi, ma alpini di cuore.

    Valentina Cubito Susa (TO)

    Al cuore non si comanda. Agli alpini sì. Per chi ha fatto il servizio militare, il cappello è stato consegnato dall’Esercito, come la divisa ed altro, a sanzionare lo status di soldato. Con quello si è faticato, sudato, gioito e talvolta anche pianto. Fa parte di un’importante esperienza di vita, per certi versi indimenticabile, che affratella quelli che hanno condiviso mesi, anni, con le stellette, per non parlare dei combattenti e dei reduci. Portato da uno che l’ha acquistato per pochi euro, pur nel rispetto della libertà di ognuno di abbigliarsi come vuole, ci fa un po’ arricciare il naso: senza scandalo, ovviamente.