Alla ricerca dello zio Giovanni

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    Tutti lo chiamano Gianni, ma il suo vero nome è Giovanni, in memoria dello zio alpino caduto sull’Ortigara. Ed è proprio qui, sulle pendici del Monte simbolo degli alpini che Gianni si trova il 15 maggio del 2006. Da un poggio vicino alla chiesetta del Lozze il suo sguardo scruta le pietraie della montagna, intento a cercare un punto che tante volte aveva immaginato, ma mai trovato: il luogo dove riposano i resti di suo zio. 

     

    Gianni è una penna nera, ufficiale d’artiglieria alpina, per alcuni anni Presidente della Sezione di Bergamo. La domenica della 79ª Adunata nazionale ad Asiago, dopo la sfilata, aveva deciso di fermarsi un giorno in più per un saluto a quei luoghi e per una preghiera, nel silenzio della montagna.

    Era stato molte volte sull’Ortigara e al Sacrario del Leiten a cercare la tomba dello zio, senza mai trovarla. Anche suo papà Felice, classe 1892, aveva combattuto nella Grande Guerra con il cappello da bersagliere e gli aveva raccontato spesso di quel fratello, della loro infanzia e gioventù.

    Di quando, appena finite le elementari, avevano inarcato le loro schiene sotto gerli di minerale da portare fuori dalle miniere di calamina, minerale di zinco, anguste gallerie nel ventre del monte Grem che parevano sprofondassero verso l’inferno. In famiglia erano in tredici, i genitori e undici figli, ed ognuno, già da ragazzo, doveva lavorare per garantire companatico e polenta a sufficienza per la famiglia. Con gli anni il papà Felice era diventato un provetto fabbro, mestiere imparato forgiando attrezzi da mina, mentre lo zio Giovanni a 18 anni era già un esperto minatore, un lavoro di cui i giovanotti della Valgorno andavano orgogliosi.

    Poi ci fu l’incubo della guerra. Prima il papà, bersagliere, e poi lo zio, alpino, dovettero partire per il fronte. Giovanni, a 19 anni, nel giugno 1917 partecipò a scrivere una delle pagine più drammatiche della Grande Guerra: la battaglia dell’Ortigara. Comandanti scriteriati, capaci solo di urlare “avanti Savoia”, mandarono i soldati italiani all’attacco su terreno scoperto, mentre gli austriaci dalla sommità della montagna usavano le mitragliatrici come falci micidiali. Ondate grigioverdi, una dietro l’altra, s’infransero sull’arida petraia che si faceva sempre più rossa. Fu un’ecatombe.

    Quando Gianni vestì la divisa alpina, approfondì le vicende belliche dell’Ortigara e tutte le volte che sentiva cantare “Spunta l’alba del 16 giugno, comincia il fuoco dell’artiglieria…” aveva i brividi. Da giovane ufficiale di complemento gli tornavano in mente le parole scritte ai genitori dal tenentino Adolfo Ferrero, il giorno prima della sua morte: “Sento in me la vita che reclama la sua parte di sole; sento le mie ore contate, presagisco una morte gloriosa, ma orrenda. Fra cinque ore qui sarà un inferno. Fremerà la terra, s’oscurerà il cielo, una densa caligine coprirà ogni cosa e rombi e boati risuoneranno fra questi monti, cupi come le esplosioni che in questo istante medesimo sento in lontananza. Il cielo si è fatto nuvoloso: piove. Vorrei dirvi tante cose… tante…. ma Voi ve l’immaginate. Vi amo tutti, tutti…”.

    Ora è lì a scrutare l’arida montagna e a pregare. Tra le mani stringe la memoria dello zio “Carobbio Giovanni, nato in Oneta il 4 gennaio 1898, colpito da proiettile nemico sull’Ortigara il 25 giugno 1917 cessava di vivere il giorno dopo in un ospedale da campo”. L’amico che l’accompagna lo esorta: «Andiamo Gianni che si fa tardi!»

    Ma dove sarà la sua tomba? Non può essere scomparso. È morto in un ospedale da campo! Ma nel Sacrario non c’è, Gianni l’ha cercato tante volte… I due amici alpini scendono e si fermano comunque al Sacrario del Leiten. Varcato il portone entrano in una realtà austera, solenne, immensa. Seguono l’ordine alfabetico dei loculi: Caro…, Carp …, Carrara… «Carobbio non c’è, te l’avevo detto». Gianni è deluso, ma l’amico non è pago. Scruta ogni angolo, legge ogni lapide, poi d’improvviso: «Gianni eccolo: guardalo lassù in cima!».

    Nella penultima fila in alto su una lapide si legge “Carrobio Giovanni”. Sulla lastra del loculo è inciso il cognome Carrobio anziché Carobbio, per questa ragione era impossibile trovarlo nell’ordine che gli era dovuto. Un brivido percorre Gianni: si mette sull’attenti, porta la mano alla tesa del cappello alpino, la tiene per un bel po’, poi giunge le mani mormora una preghiera mentre gli occhi si fanno lucidi. Il cuore batte forte e i pensieri sono finalmente in pace: ha trovato lo zio Giovanni, caduto combattendo sull’Ortigara.

    Luigi Furia