Afghanistan, tormentato crocevia dell’Asia

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    di Umberto Pelazza

     

    Suona come l’inizio di un’antica leggenda: un giovane ambizioso che dagli angusti confini di un bucolico reame oggi si direbbe da operetta parte alla conquista del mondo e si trova ad affrontare non mostri e maliarde, ma una successione sterminata di montagne, che paiono sfiorare il cielo con le punte innevate. L’impatto di Alessandro Magno con le impervie catene della regione afghana, allora provincia orientale dell’impero persiano, non fu di buon auspicio: costretto a inventarsi l per l un corpo di arrampicatori, con tanto di corde e chiodi, e penetrato a stagione avanzata fra le gole infide dell’Hindukush ‘dovette abbandonare lungo il cammino racconta Diodoro Siculo molti soldati che non avevano pi la forza di proseguire, mentre altri perdevano la vista per i riflessi della neve’.
    Impose comunque un governatore sulla regione valliva del fiume Kabul e dopo mille peripezie raggiunse il passo Khyber, la porta della valle pakistana dell’Indo: l avvenne lo storico incontro fra la cultura ellenistica mediterranea e il buddismo in risalita dal subcontinente indiano. Nacque un’arte greco buddista e da allora gli eredi di Fidia e Prassitele si sbizzarrirono a raffigurare il grande predicatore con le fattezze di un Apollo con gli occhi a mandorla.
    Fino a poco tempo fa erano rimaste in piedi, scavate nelle pareti rocciose della valle di Bamyan e rispettate dalla religione islamica, due colossali statue di Budda, rivali per imponenza dei Ramses egizi di Abu Simbel, ora abbattute dalla furia iconoclasta degli ‘studenti di teologia’ talebani.
    Il Khyber (quota 1030) stato definito il pi famoso valico del mondo. Vi sono transitati nei due sensi Arii indoeuropei, greci e turchi, mongoli, tartari, indiani, inglesi: conquistatori, mercanti, pellegrini. Oggi i turisti che vogliono porre piede su questo storico crocevia vengono accompagnati da guardie armate.
    Lungo il corso dell’Indo si dissolse il sogno ecumenico del grande macedone; l’usura del tempo si accanita anche sul nome delle quattro citt da lui fondate: la pi nota giunta a noi come Kandahar, storpiatura di una primitiva ‘Alexandreja’, entrata dapprima nel blasone di un conte inglese e in seguito nel marchio di un trofeo sciistico. Sic transit gloria mundi (cos passa la gloria del mondo, n.d.r.)…
    Catene montuose, natura selvaggia, grandiosa, polvere, solitudine, assenza di refrigerio monsonico sugli aridi deserti che paiono respingere ogni forma di vita: l’Afghanistan, passaggio obbligato nel cuore dell’Asia, fu per secoli teatro di vicende poco note, terra di conquiste effimere, scenario di lotte tribali; non pi medio oriente, non ancora estremo oriente, ancor oggi un conglomerato poco controllabile di etnie diverse. Alla fine del primo millennio scompare il buddismo e gi si diffusa a macchia d’olio la religione di Maometto: gli Afghani (cos chiamati dagli stessi arabi) ne saranno i difensori pi intransigenti.
    Ma soltanto il primo atto. Nel 1221 piombano a seminare terrore e morte le orde dei cavalieri mongoli di Gengis Khan: contrade intere rase al suolo, colture e canalizzazioni distrutte, terreno ridotto a steppa. Dopo ogni carneficina sorgevano torri di mattoni confezionati con migliaia di teste mozzate e cementate d’argilla: un aiuto agli avvoltoi nello sgombero del campo di battaglia. Ci vorr quasi un secolo perch l’Islam riesca a riprendersi. L’indebolimento della barriera musulmana ebbe per un effetto positivo: apr le porte dell’Oriente all’Europa dei missionari e dei mercanti.
    E Marco Polo pu attraversare tutta l’Asia prendendo appunti per i posteri. Il suo nome viene ancor oggi pronunciato con rispetto lungo l’antica ‘Via della Seta’, la principale arteria commerciale tra Mediterraneo e Cina, che nel suo itinerario afghano toccava Kabul e costeggiava l’altopiano del Pamir, detto ‘il Tetto del Mondo’, attualmente toccato dai confini di cinque paesi: Russia, Cina, India, Pakistan e Afghanistan (situazione che provoca…brividi anticipati alle spedizioni alpinistiche, smarrite nelle tortuose gole delle carte bollate). Dicono sia stato l’unico grande complesso montano non sommerso dal diluvio universale: il governo russo ha preso atto di questo primato laico, battezzando la vetta pi alta ‘Picco del Comunismo’.
    Anche per Marco Polo il luogo pi alto del mondo, dove ‘l’aere cos puro che gli uomini che si sentono assaltare dalla febbre vi stanno dui o tre giorni e si ritrovano sani’. La Via della Seta attraversa la valle del Waklan, descritta nel ‘Milione’ come zona ricca di pascoli, dove i pastori fabbricano scodelle con le corna dei montoni selvaggi, (noti ancor oggi come ‘capre di Marco Polo’). L’attenzione di Marco si rivolge anche alle loro donne, che ‘portano brache che vi ha ben cento braccia di panno e questo fanno per parere che abbian grosse le natiche, perch li loro uomini si dilettano di femmine grasse’. Ma per curare le sue febbri il veneziano preferisce la valle dell’Indo, dove scopre che ‘le donzelle consacrate alla divinit hanno le carni cos sode che nessuno pu pizzicarle in parte alcuna, ma per un denaro piccolo consentono a chiunque di pizzicarle quanto pi possa’.
    La valle dei montoni torna alla ribalta quando diventa una pedina nelle mani degli inglesi padroni dell’India, ai quali l’Afghanistan si presenta come lo stato cuscinetto ideale contro le velleit della Russia zarista verso il Mare Arabico.
    Ma l’imbottitura del cuscinetto sta stretta agli Afghani, tradizionalmente assetati di libert, e non basta che gli inglesi si accontentino di avere a Kabul un governo non ostile, subito definito governo fantoccio. I giardini delle moschee trasformati in campi di cricket offrono la scintilla che accende la guerriglia: gole montane, angusti fondivalle, passaggi obbligati diventano off limits per i contingenti britannici, continuamente nel mirino dei tiratori scelti.
    Dapprima costretti al ritiro, tornano in forze, installano un robusto presidio al passo Khyber e rioccupano la capitale. L’Afghanistan diventa protettorato inglese. A nord est la lunga e stretta valle di Waklan, detta ‘osso della bistecca’ o ‘becco d’anatra’, si allunga come un dito sino ai confini con la Cina: porta sbarrata per la Russia.
    Ma le ostilit non cessano: una missione inglese massacrata a Kabul e il corpo di spedizione subisce una grave sconfitta a Kandahar. Gli inglesi lasciano il paese nel 1881 e nel 1921 riconoscono la sua indipendenza. Sull’Afghanistan la storia distilla col contagocce brevi periodi di non belligeranza e, nell’estate del 1965, l’alpino Pierfranco Giraudi, gi ufficiale di complemento alla Scuola Militare Alpina, coglie la palla al balzo per aggiungere una tessera al mosaico del suo palmares montano, oggi di tutto rispetto (ha raggiunto anche quota zero…al polo nord), partecipando a una spedizione scientifico alpinistica, durante la quale scala ‘in prima’, cappello alpino in testa, una vetta dell’Hindukush a quota 6200, che battezza ‘Citt di Torino’.
    Ma il fragile intermezzo ha vita breve: nel 1979 ci provano i sovietici e Kabul rivede un secondo governo fantoccio: viene subito dichiarata la guerra santa e il ‘Vietnam della Russia’ dura per tutti gli anni Ottanta. Solo il pragmatismo di Gorbaciov e la stanchezza del suo popolo pongono termine al conflitto. Salgono al potere i musulmani talebani, con lo scopo di creare lo stato islamico pi puro del mondo. Il resto cronaca.
    Per non perdere i vantaggi che derivano dagli interessi delle due potenze, il paese sta adottando una rischiosa politica di equilibrio, accettando aiuti dagli uni e dagli altri, ma non parteggiando per nessuno dei due.
    Per i pi lungimiranti, non accecati da faziosit religiose, Bin Laden solo un incidente di percorso.
    Alla ricostruzione dell’Afghanistan devastato dalla guerra sono intervenute anche le Forze Armate italiane. Ma la collaborazione pu scaturire sotto le forme pi impensate, anche se meno appariscenti. Nella moschea di Herat (altra antica Alexandreja), troneggia un gigantesco calderone di bronzo (due metri di diametro), dove, in occasione delle solennit, si preparava il ‘sharbat’, una bevanda rinfrescante p
    er i fedeli, emigrata in Italia come ‘sorbetto’.
    Abbiamo cercato di contraccambiare e a Kabul una ditta italiana produce un vino pregiato di uve afghane, il ‘Castellino’. Riservato ufficialmente agli stranieri e all’esportazione, da voci non confermate pare sia recentemente riuscito a operare le prime scalfitture e a introdurre i primi dubbi nella granitica fede antialcoolica di parecchi seguaci della dottrina islamica.