Accesa la lampada votiva, per i Caduti in guerra e in pace

    0
    90

    C’era una volta una icona della Madonna in un’isba sul Don. C’era la guerra e l’isba venne abbattuta da un colpo di mortaio lanciato dai russi sulle linee degli alpini. Ma l’icona, quasi miracolosamente, non andò perduta: spuntava dalle macerie, intatta. Con un gesto di pietà e di compassione, la proprietaria di quelle macerie la consegnò al cappellano padre Policarpo Narciso Crosara come dono e ringraziamento per l’umanità dimostrata dai nostri alpini pur in quelle tragiche circostanze.

    L’icona che rappresenta la Madonna con il cuore trafitto, per qualche settimana fu posta sull’altare da campo del cappellano. Venne il terribile dicembre. Il Don era talmente gelato che veniva appena scalfito dalle granate che vi piovevano. Si sentiva, sempre più vicino e minaccioso, il cupo brontolio dei carri armati nemici che prendevano posizione. Padre Crosara, temendo il peggio, consegnò l’icona a un alpino che tornava a casa in licenza e che era passato da lui, per salutarlo.

    È la Provvidenza che ti manda disse il cappellano noi non usciremo vivi da questo inferno: porta l’icona a mia madre, dille che la custodisca. Sarà di conforto a quelle mamme che non vedranno più il loro figlio . Il 15 dicembre raccontò in seguito padre Crosara quando ci accorgemmo che i tedeschi se n’erano andati con i loro carri armati, abbandonandoci, gli alpini cominciarono a scrivere pagine di sangue e di eroismo quali nessun altro reparto scrisse nell’ultima guerra .

    Nel 1954 la sacra icona viene portata pellegrina in 80 città italiane ed infine consegnata ai padri cappuccini del convento di Mestre, che le dedicano l’altare di una navata della chiesa di San Carlo. La Madonna del Don è stata sempre venerata non solo dagli alpini ma anche dalla popolazione, che le attribuisce facoltà miracolose.

    Nel 1974 la Sezione di Asti donò per la prima volta l’olio per la lampada perenne che arde in memoria dei nostri Caduti. Era la terza domenica di settembre, destinata a diventare una data fissa perché da allora unica eccezione nel settembre del ’76, quando gli alpini erano impegnati nella ricostruzione dei paesi del Friuli devastati dal terremoto ogni anno l’offerta viene ripetuta prima da una, poi da due sezioni unite.

    Quest’anno la cerimonia della donazione è stata particolarmente solenne, perché è stata fatta dal presidente nazionale e dal Consiglio Direttivo Nazionale, con la presenza del Labaro, di oltre trenta Vessilli, di centinaia di gagliardetti, delle massime autorità fra cui il sindaco di Venezia Massiamo Cacciari, della fanfara e un picchetto armato della brigata alpina Julia.

    La donazione dell’olio per una lampada perenne in memoria dei defunti ha un significato profondo e una tradizione che risale all’alto Medioevo. Se ne ha la prima notizia nel testamento di Totone da Campione, nell’VIII secolo: non c’era prelato, principe, duca o re che non lasciasse in eredità a conventi, monasteri o chiese, uliveti per garantire l’olio alla lampada propiziatoria.

    Quella fiammella significa luce che rischiara le tenebre e si identificava con il soprannaturale. È anche la luce della memoria, perché il passato sia sempre presente, è testimonianza misericordiosa e salvifica. Se San Maurizio è il patrono degli Alpini, la Madonna del Don rappresenta il ricordo dei nostri Caduti; secondo pietà, ma anche secondo una tradizione che gli alpini continuano.

    Nessuno avrebbe immaginato come ha ricordato nel suo discorso il nostro presidente Corrado Perona di dover aggiungere oggi, in missioni di pace, altri nomi a quelli delle decine di migliaia di Caduti in guerra.

    La celebrazione di quest’anno si è svolta in due giornate. Il pomeriggio di sabato 7 ottobre, al cimitero di Montecchio Maggiore (Vicenza) è stata deposta una corona alla tomba di padre Crosara. In serata, al teatro Toniolo di Mestre, concerto del coro Tre Pini di Padova.

    Domenica, ammassamento davanti al palazzo comunale, deposizione di corona alle lapidi dei Caduti e corteo fino in piazza Ferretto dove c’è stato l’alzabandiera e dove era allestito un altare per la Messa al campo. Dopo il rito, il benvenuto ai convenuti è stato dato dal capogruppo di Mestre e consigliere nazionale Franco Munarini, che ha ringraziato tutti e particolarmente gli alpini del gruppo che hanno lavorato per la riuscita di questa manifestazione.

    Cacciari si trovava due volte a casa: come sindaco di Venezia e come figlio di alpini. Ha detto che gli alpini rappresentano la volontà di pace e che l’icona della Madonna del Don, simbolo di dolore di una terra che ha visto la più grande tragedia degli alpini portata in Italia come segno di speranza . Ma ha proseguito il sindaco la pace non basta sperarla, occorre anche difenderla e imporla a chi non la vuole.

    Credo che nessuno meglio degli alpini si adoperi per far cessare le sofferenze e per fare in modo che tragedie come quelle avvenute in Russia e che mi raccontava mio padre, non succedano più . Dopo un breve saluto del presidente della sezione di Venezia Adriano Cristel, ha preso la parola il nostro presidente che, rivolgendosi agli alpini in armi del 7º reggimento: La vostra umanità, che vi accompagna nelle missioni all’estero, viene da lontano , ha detto Perona che ha ricordato la figura di padre Policarpo e la sua intuizione di affidare gli alpini a quest’icona.

    Poco dopo, concluso uno scambio di doni a ricordo della memorabile giornata, nella chiesa dei cappuccini si è svolto l’atto di donazione dell’olio. Mentre il presidente Perona, a CDN schierato accendeva le due lampade votive ai lati dell’altare della Madonna del Don, il coro di Portogruaro, come sottofondo, intonava una delle più belle e significative cante alpine: La luce del mattino.