A testa alta

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    “El muro bianco, drio de la to casa/ Ti te saltavi come un oseleto/ Tute le sere prima de ‘nà in leto/ Te ne vardavi drio da j’ oci mori/ E te balavi alegra tuta note/ E i baldi alpini te cantava i cori, oh/ Joska, Joska, Joska…” . Quando leggerete queste righe sono sicuro che il verminaio di polemiche sarà definitivamente alle spalle. Ma mentre ancora imperversano, il pensiero corre a Joska, ossia il mistero femminile uscito dalle magie poetiche di Bepi De Marzi, capace di dissolvere, raccontando le trame del desiderio e dell’amore tra l’uomo e la donna, la violenza della guerra e quelle barriere di inimicizia che le culture mettono in piedi in nome dell’odio.

    Oggi sono tante le guerre sotto il cielo e non tutte giocate con le armi. E così anche la stoltezza di qualche mascalzone col cappello alpino in testa diventa la Sarajevo da cui partire per una crociata senza precedenti. Con cannoni mediatici, ovviamente. Scriveva Gilbert Chesterton, geniale scrittore, morto nel 1936: «È più pericolosa la censura a mezzo stampa, della censura sulla stampa». Da uomo acuto qual era, prima di morire aveva percepito il dramma delle dittature, comunista, nazista, fascista, pronte a far tacere chi suonasse fuori dal coro. Ma aveva anche capito con lucidità, quanto più pericoloso fosse mettere alla gogna chi dava fastidio, decidendo di tagliarli la cresta. Ho passato la vita a fare informazione. Da trent’anni iscritto tra i professionisti.

    Con amarezza vi confido che questa è stata una delle pagine più tristi che mi è stato dato di attraversare. Una vera e propria gogna mediatica per la quale non ho e non abbiamo nulla in coscienza di cui chiedere scusa. Chi sbaglia paga per sé, senza coinvolgere un’intera categoria. Il vangelo ci dice che in paradiso o all’inferno ci si va con le gambe proprie. E sono sempre avverso a quel sottile razzismo con cui il qualunquismo estende la colpa di qualcuno o di pochi a un’intera categoria. Così che i politici sono tutti ladri, i preti tutti pedofili, le donne tutte olgettine (non posso usare termini volgari), i ragazzi tutti lazzaroni, gli alpini un branco di trogloditi molestatori… Ed è per questa convinzione che dico con forza: giù le mani dagli alpini, assicurandovi che fintanto che avrò l’onore di dirigere questa testata, chi vorrà offenderli indebitamente, dovrà sfidarmi guardandomi negli occhi.

    Se c’è una scusa che vorrei chiedervi è per coloro che per settimane e settimane hanno voluto sfruculiare tra la melma, facendo credere che un problema reale, quello della molestia alle donne, fosse il problema degli alpini. Qui non c’era in ballo il legittimo diritto di cronaca e tantomeno la pretesa che si nascondesse la polvere sotto il tappeto. Qui ha vinto la morbosità di una tesi che il buon senso sarebbe bastato da solo a collocare nelle giuste dimensioni. Hanno messo il megafono al moralismo, risvegliatosi improvvisamente per buttarci nel tritacarne, dopo aver chiuso gli occhi sul dilagare della sconcezza, servita in tutte le salse: politiche, televisive, canore… quando sarebbe stato il caso di dire che con il corpo ridotto a merce, nessuno era più al sicuro. Tantomeno le donne.

    Siamo qui a chiederci il perché la storia degli alpini, di tutti gli alpini, sia diventata a un certo punto e per settimane la “notizia dal fronte”. Certo, avvisaglie di antipatia e ostilità le avevamo già avute in passato. A questo bisognerebbe aggiungere certo machismo femminista, più attento alla visibilità mediatica che alla vera difesa delle donne. Non ci ha giocato a favore, pur non essendone la causa, neppure il fatto che il Parlamento abbia istituito per legge, senza che noi lo chiedessimo e all’unanimità, la Giornata della memoria e dell’onore alpino. Il grazie per una storia passata, ma soprattutto presente. Nelle parole felpate del Presidente della Repubblica che, promulgandola, chiedeva di fare una legge anche per tutte le Forze Armate, non era difficile sentire l’eco di lamenti saliti molto in alto.

    Ne prendiamo atto e ci beviamo un’ombra nel segno della convivialità. Il dispiacere non cambia la sostanza delle cose. E la sostanza, costituita dalla nostra storia e dalla nostra dignità, non ci viene data o tolta da nessuno, perché i meriti ce li siamo conquistati da soli, con la stima delle donne.

    Bruno Fasani