Storie di cappelli

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    Uno negato

    Ho letto la tua risposta ad un padre che chiede se possa sfilare con il cappello del proprio figlio andato avanti. È un esempio di sensibilità, ma anche di non poca diplomazia che mi suggerisce una riflessione. Quando il problema emerge dalle profondità di un dolore infinito, ci vuol coraggio solo a rispondere. Qualcun altro avrebbe potuto dimenticarsi quella richiesta, così comprensibile e commovente. Qualcuno non alpino. Il problema è sempre lo stesso: chi ha diritto di portare il cappello alpino?Lo Statuto è chiaro, ma la questione resta. Nessuno avrebbe il coraggio di dire a quel papà: togliti quel cappello . Altrettanto penso che nessuno avrebbe il coraggio di fermare un amico degli alpini che sfila con un cappello guadagnato in un servizio encomiabile e talvolta dono di un alpino. E che dire di quegli amici spinti da un grande desiderio d’essere degni di portare il cappello. Questa storia non finirà mai?

    Stefano Giovanni Loffi Cremona

    A mio parere la storia non è mai cominciata. Chi ha fatto l’alpino porta il suo cappello, chi non l’ha fatto sta amichevolmente, e mi auguro piacevolmente, con gli alpini e non lo porta. Le eccezioni ci sono. Una di queste l’hai ricordata tu. Quando i problemi di una persona assumono dimensioni che toccano i nodi veri dell’esistenza, bisogna avere il coraggio di accantonare i riti e lasciare spazio alle profondità di un dolore infinito . Che sono l’espressione più alta dell’alpinità e qualificano la nostra tradizione.

    uno in musica

    Sono una persona che attraverso l’attiva partecipazione in fanfara ha potuto avvicinarsi a questo straordinario Corpo di cui sin dall’infanzia ho ascoltato i racconti di un padre alpino, classe 1915, appartenente al 3º Alpini e di due fratelli alpini. Ho ascoltato i loro racconti, letto sempre le riviste come quella a cui mi rivolgo e siete entrati nel mio DNA. Qualche anno fa mi fu offerta la possibilità di entrare a far parte della speciale e carismatica fanfara Montenero di Torino. Noi musici aggregati abbiamo ben presenti le norme che lo Statuto indica in termini di regole comportamentali, e dichiaro non aver mai indossato il sacro cappello senza la divisa che completa la mia figura, quindi solo nei momenti di partecipazione della fanfara. E fino ad oggi l’ho fatto sentendo un fine orgoglio che mi accomuna a quelle persone che veramente danno dimostrazione del valore alpino.

    Anna Cassano

    La sua lettera è molto bella e anche toccante. Ineccepibile sotto il profilo dei sentimenti che ci accomunano. Lei è ben consapevole di portare il cappello non rispettando le norme dell’ANA e in definitiva auspica una deroga. Ha tutta la mia comprensione e simpatia, ma a malincuore devo dirle che fa un uso improprio del cappello alpino. Ho visto in piazza ad Udine, sabato 12 settembre, la banda militare di Carinzia. Vi facevano parte due ragazze che portavano con fierezza un copricapo di colore e foggia completamente diversi. Facevano un’ottima figura e se non fosse stato così non ci saremmo nemmeno accorti della loro presenza. Perchè nelle nostre fanfare dev’essere tutto omologato?

    Pubblicato sul numero di gennaio 2010 de L’Alpino.