Cima Vallona, 46 anni dopo. E sembra ieri. Sembra ieri che sia stato ucciso da una mina l’alpino 22enne Armando Piva, del battaglione Val Cismon, e dilaniati da altri ordigni il capitano dei carabinieri Francesco Gentile, il sottotenente Mario Di Lecce e il sergente Olivo Dordi, entrambi paracadutisti incursori del 9° reggimento d’assalto “Col Moschin”.
Ci fu anche un ferito grave, il sergente paracadutista Marcello Fagnani, che porta ancora evidenti i segni delle ferite riportate. Ancora oggi ricordiamo con sgomento questo odioso agguato e con immutata pietà i tanti che persero la vita perché erano servitori dello Stato. Era il tempo degli attentati in Alto Adige compiuti da gruppi terroristici che reclamavano l’annessione del Sud Tirolo all’Austria.
L’autonomia speciale concessa sulla base dell’accordo Degasperi-Gruber alla provincia di Bolzano nell’ambito della Regione a statuto speciale Trentino-Alto Adige aveva un percorso tormentato per le mire dell’Austria che appoggiava scopertamente i gruppi irredentisti di matrice nazista. Obiettivi preferiti dai terroristi furono dapprima i tralicci dell’alta tensione e le caserme dei carabinieri e della Guardia di Finanza nelle zone di confine e poi, in un tragico crescendo, i militari. La lista dei Caduti in questa assurda guerra è lunga.
L’Alto Adige viveva in una sorta di stato d’assedio, con posti di blocco sulle arterie principali, l’intero territorio presidiato dalle forze dell’ordine e gli alpini di leva a guardia degli obiettivi sensibili. Il clima politico era estremamente acceso, e difficile era la stessa quotidianità per i due gruppi linguistici coinvolti in una contrapposizione accesa, specialmente nei piccoli centri dove era, ed è ancora esigua la minoranza di lingua italiana. In questo contesto s’inquadra la strage di Cima Vallona. Ebbe un tragico antefatto nell’attentato a un traliccio dell’alta tensione, intorno alle 3,30 del 25 giugno 1967. L’esplosione fu avvertita dagli alpini del distaccamento di Forcella Dignas che diedero l’allarme al presidio di Santo Stefano di Cadore.
Alle prime luci dell’alba partì una squadra che, all’imbocco del sentiero per Cima Vallona proseguì a piedi. Nella zona in cui era stato abbattuto il traliccio, l’alpino Armando Piva calpestò una mina nascosta sotto la ghiaia. Gravemente ferito e trasportato all’ospedale di San Candido, morì la sera dello stesso giorno. Nel frattempo da Bolzano era stata inviata la pattuglia composta dal capitano Gentile, con Di Lecce, Dordi e Fagnani. Raggiunto il luogo dell’attentato, trovarono altre mine disseminate lungo il sentiero.
Sulla strada del ritorno, a centinaia di metri di distanza dalla forcella, lungo il sentiero che sembrava ormai sicuro, uno di loro calpestò l’ultimo ordigno: fu una strage. L’attentato, si accertò in seguito, era stato progettato dal neonazista austriaco Norbert Burger, gli ordigni erano stati costruiti dal neonazista tedesco Peter Kienesberger che li aveva posizionati con la collaborazione di Erhard Hartung ed Egon Kufner. Processati in contumacia a Firenze, i primi tre furono condannati all’ergastolo, Kufner a 24 anni. Sono tuttora liberi, in Germania e in Austria, protetti e considerati eroi.
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Da allora, ogni anno, l’ultima domenica di giugno, viene deposta una corona all’edicola fissata alla roccia, alla forcella della strage, a quota 2.500, e viene celebrata una Messa a Tamai, nella frazione di San Nicolò di Comelico dove gli alpini hanno eretto una cappella per ricordare i Caduti del periodo terroristico. Il 30 giugno scorso c’erano il prefetto di Belluno Maria Laura Simonetti, che ha letto un messaggio del ministro della Difesa Mario Mauro, la sorella dell’alpino Piva, Gabriella, la moglie del sottotenente Di Lecce, Graziella, i fratelli del sergente Dordi, Ottavio e Amatore. E poi il col. Silvio Zagli, capo di Stato Maggiore del comando Truppe Alpine, il col. Fregona del 7° Alpini, Giancarlo Ianese sindaco di San Nicolò di Comelico, rappresentanze di numerose associazioni d’Arma, e militari in servizio, in special modo alpini, incursori del Col Moschin, carabinieri e finanzieri.
La nostra Associazione era rappresentata dal vice presidente nazionale Nino Geronazzo, con il consigliere nazionale Onorio Miotto, il revisore dei conti Ildo Baiesi, diversi presidenti di Sezione con vessillo e tantissimi gagliardetti. Al posto d’onore, circondato da grande rispetto, la Medaglia d’Argento al Valor Militare Marcello Fagnani, allora ventenne, sopravvissuto alla strage. Nei vari interventi è stata espressa vicinanza ai famigliari delle vittime, sono state rivolte espressioni di grande considerazione per il senso del dovere dei Caduti e l’auspicio che sia finita per sempre l’era della violenza.
Un discorso di alto tenore è stato tenuto in questo senso dal vice presidente ANA Geronazzo, di ritorno dalla forcella in quota dove, accanto al sacello che ricorda l’attentato, dopo l’alzabandiera era stata deposta una corona. Ha ricordato che il presidente nazionale Sebastiano Favero, con il resto del Consiglio e centinaia di alpini, si trovavano al rifugio Contrin per commemorare i Caduti sul fronte della Marmolada. “Con questo spirito di unità e di pace ci troviamo qui – ha continuato Geronazzo, che si è rivolto in particolare ai rappresentanti della Provincia autonoma di Bolzano – che io speravo di trovare oggi a questa cerimonia. Lo devo dire – ha ribadito – perché l’Adunata di Bolzano è stata un grandissimo abbraccio con la gente.
È stato ammesso che eravamo a Bolzano in spirito di fraternità. Come ci è stato riconosciuto – ha ricordato – dalla stampa di lingua tedesca e dagli altoatesini desiderosi di pace. Non dobbiamo temere qualche frangia estrema che continua a odiare questa nostra presenza”. Ed ha auspicato che “in futuro questi atteggiamenti cambino e che anche la Provincia di Bolzano possa essere ufficialmente presente alla commemorazione di questi quattro eroi”. Non è stato casuale il riferimento all’Adunata di Bolzano, che ha consentito di compiere quel piccolo miracolo di far applaudire gli alpini anche da quanti temevano una adunata in chiave di rivalsa nazionalistica, fatto scoprire che la diversità è una ricchezza e che il reciproco rispetto apre le porte alla pacifica convivenza e alla collaborazione.
Giangaspare Basile