Il gen. Petraeus: Uno sforzo straordinario

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    Quando era in pagina questo resoconto sulla missione dei nostri alpini della Taurinense, conclusa in Afghanistan, è giunta la tragica notizia della morte dei quattro alpini della Julia, profeti del bene comune, disposti a pagare di persona , come li ha chiamati l’ordinario militare ai solenni funerali di Stato. I reggimenti della Julia, che hanno dato il cambio alla Taurinense, hanno ripreso la loro missione il giorno stesso dell’attentato, con senso del dovere e grande umanità, componenti fondamentali di tutti gli alpini, come si può desumere dalla lettura di questo articolo

     

    A tremendous effort : parole del generale americano David Petraeus, il comandante della missione NATO in Afghanistan dopo aver visitato gli Alpini della Taurinense nella regione ovest del Paese, dove il generale Claudio Berto ha comandato negli ultimi mesi un contingente multinazionale di oltre 7.300 militari, metà dei quali italiani degli oltre 1.800 alpini di tutti i reggimenti della brigata Taurinense. Uno sforzo eccezionale prodotto su un’area grande quanto l’Italia del nord con molti risultati all’attivo: zone un tempo infestate dagli insorti oggi pacificate e ripopolate di vita, decine di progetti di sviluppo realizzati in zone remote della regione, migliaia di poliziotti e soldati afgani addestrati, centinaia di ordigni disinnescati dal genio ovvero centinaia di vite salvate.

    Ma i complimenti del generale a quattro stelle che ha concepito la moderna dottrina di antiterrorismo, sono rivolti essenzialmente all’approccio italiano che gli alpini hanno saputo interpretare ottimamente sul campo. Mettere la popolazione al centro degli sforzi, coinvolgere le comunità e i leader formali (eletti o nominati dal governo) e quelli informali (i personaggi influenti in seno ai villaggi, come il mullah) nell’affrontare i problemi, usare flessibilità senza rinunciare ad essere determinati, adoperare le armi solo se attaccati e quando necessario, realizzare i progetti di ricostruzione tramite ditte locali affidabili (niente opere incompiute), obbligandole ad assumere manodopera nei villaggi beneficiari.

    Tutto questo lo si può leggere più o meno esplicitamente nel manuale dell’esercito americano ispirato da Petraeus dopo l’esperienza irachena. Ma lo si può trovare anche nella routine dei militari italiani in Afghanistan, che da sempre coniugano sicurezza e sviluppo. Un esempio?Le operazioni di stabilizzazione nella provincia di Herat, condotte nei distretti meno facili da raggiungere perché le strade sono in pessime condizioni (velocità medie di 15 km/h) o pericolose, perché disseminate di trappole esplosive, dove ci sono decine di villaggi in cui la presenza del governo e quella internazionale è praticamente inesistente. Non ci sono strade degne di questo nome, né scuole, ambulatori, acqua per irrigare e dissetarsi, mentre l’elettricità proviene da piccoli gruppi elettrogeni che servono soltanto a caricare i cellulari e ad azionare piccole radio. La probabilità che zone così impervie diventino il rifugio degli insorti contro il governo di Kabul è elevata, ed occorre riempire i vuoti per quanto possibile. Per estendere l’influenza delle istituzioni locali polizia, governatori occorre iniziare a mostrarne la presenza tangibile.

    Vengono allora pianificate pattuglie miste di alpini del 3º reggimento di Pinerolo e militari afgani che durano anche diversi giorni, per verificare le vie di accesso e rimuovere eventuali ordigni dalle strade, mentre il team per la ricostruzione provinciale l’unità costituita dal 1º artiglieria da montagna di Fossano che si occupa di ricostruzione e sviluppo, si impegna nell’organizzazione di una shura, l’assemblea di tutti i capi villaggio del distretto a cui parteciperanno le autorità governative per annunciare le iniziative che verranno prese in loco: progetti decisi in comune e finanziati dall’Italia o dagli USA come la costruzione di nuove scuole, pozzi, posti di polizia e ambulatori. Alla fine ci si ritrova in una grande spianata dove centinaia di malek si riuniscono per ascoltare le novità e discutere con il governatore della provincia, sollecitare interventi e promettere collaborazione.

    Alla shura partecipano anche i comandanti italiani, i quali spesso prendono la parola per testimoniare l’impegno internazionale e coinvolgere le comunità nel miglioramento della sicurezza nella regione. È un sistema graduale, morbido ed efficace, basato sulla collaborazione con gli afgani che, nella provincia meridionale di Farah (al confine con l’Iran e il famigerato Helmand), ha portato il 9º Alpini dell’Aquila a segnare dei successi importanti nella lotta agli ordigni improvvisati, con l’arresto di pericolosi elementi coinvolti nella fabbricazione di bombe rudimentali. Anche a nord, a Bala Murghab, le cose sono andate bene: il 2º Alpini è stato protagonista della costruzione di una zona sicura di 20 km di estensione che ha difeso con la forza da attacchi esterni, consentendo il ritorno alla normalità per migliaia di persone fuggite per paura degli insorti.

    Il 18 settembre si è votato in massa, a Bala Murghab, con una presenza femminile alle urne tra le più alte della regione. È stata una missione complessa e impegnativa, per l’estensione del territorio e della sfera operativa, perché per la prima volta una brigata Alpina è stata schierata con tutti i reggimenti (che hanno dato il massimo), e perché ci sono stati dei lutti tragici, commilitoni che non sono tornati a baita’, il cui sacrificio non è stato vano e non verrà mai dimenticato. Alla fine, quello degli alpini e dei militari italiani è stato un tremendous effort , uno sforzo eccezionale, nel vero senso della parola. Missione compiuta, Taurinense !

    magg. Mario Renna
    Ufficio P.I. brigata alpina Taurinense

    Pubblicato sul numero di novembre 2010 de L’Alpino.