Quel mare di neve

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    C’è un filo rosso che unisce l’ultima guerra mondiale ai giorni nostri e si chiama Russia. La guerra alle porte dell’Europa tra l’ex impero sovietico e l’Ucraina ripercorre in parte i luoghi che videro l’Armir impegnato tra l’estate 1942 e la primavera dell’anno successivo. Tornano alla mente i racconti dei reduci, il lungo viaggio verso il Caucaso che Caucaso non fu, i campi di girasole, l’inverno gelido, la notte di Natale e la lunga marcia del davai per tornare a baita.

    Un capitolo fondamentale nella storia d’Italia, del mondo e degli alpini che non avremmo voluto rivivere, neppure da spettatori. Un passato rievocato dalle immagini di guerra e freddo trasmesse in tv, di volti segnati dalla paura di un popolo sprofondato in un incubo che sembra non avere fine. Un passato il cui perimetro, fino al febbraio scorso, era confinato alla diaristica dei protagonisti, alla moltitudine di pubblicazioni e alle esposizioni di opere e cimeli. Sono trascorsi ottant’anni da allora e per ricordare la Campagna di Russia, la Biblioteca Sormani di Milano, sull’argomento, ha recentemente inaugurato la mostra “Naufraghi in un mare di neve.

    Artisti e scrittori italiani nella campagna di Russia (1942-1943)” a cura di Maria Teresa Giusti, Mauro Novelli, Sergio Di Benedetto, Luca Gallarini, aperta al pubblico fino al 4 febbraio prossimo. Lungo lo spazio dello Scalone monumentale, la narrazione dei “naufraghi” prende forma con le opere pittoriche e i disegni originali di Cesare Andreoni e Francesco Fedeli, milanesi, entrambi pittori corrispondenti di guerra. Uno spazio è riservato ad alcune tavole dello Zibaldone realizzato dal triestino, artigliere da montagna del Bergamo, Bruno Riosa, concesse in prestito dalla Sede nazionale dell’Ana. Un viaggio scanzonato “dalla steppa al lager”, un intreccio di caricature di alpini noti e volti comuni nel racconto di quella piccola porzione di vita oltre la guerra.

    Mentre nell’ultima sezione i disegni cedono spazio alla letteratura con una vetrina dedicata al futurista Filippo Tommaso Marinetti, ai suoi appunti, alle lettere e alla sua gavetta, esposti al pubblico per la prima volta. Marinetti partì volontario per la Russia a 65 anni come “primo seniore” della milizia, nel raggruppamento XXIII Marzo dei battaglioni M, inviati dal duce a fronteggiare l’Armata Rossa. E poi l’una accanto all’altra, le prime edizioni di libri più celebri e meno noti, approcci differenti e stili eterogenei descrivono la grande epopea di uomini reali, non costruttori di mondi, che quella guerra la vissero in prima persona, al fronte.

    Bedeschi, Corti, Sorgente, Lussu accompagnano il visitatore fino alle ultime vetrine di due amici: Mario Rigoni Stern e Nuto Revelli. Con Rigoni la dolcezza poetica si fa prosa, il pensiero è libero e mai banale. Sono pagine che parlano di uomini impreparati ad affrontare la guerra, le cui uniche armi furono il sostegno dell’amicizia e il desiderio di tornare a casa. La mostra si chiude con le opere di Nuto Revelli, piemontese del Quinto. Uno stile crudo, un realismo da cronachista con l’urgenza del racconto che a tratti si fa insostenibile perché a parlare sono i reduci della sua terra. Suggestioni di una vicenda terribile raccontata in una esposizione dall’allestimento essenziale, capace tuttavia di parlare con il linguaggio degli uomini che ne presero parte.

    Mariolina Cattaneo