La zona sacra del Pasubio

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    Walter Bonatti soleva ripetere che “le montagne sarebbero un mucchio di sassi se non ci fosse l’uomo a dare loro vita”. Poche parole che riassumono interi scaffali di libri sul rapporto uomo-natura. Le montagne – sosteneva l’alpinista lombardo – non hanno un significato che va cercato dentro di esse, non esprimono una forza immanente, “esistono” solo se l’uomo le tocca, le vive, ci lascia sopra una traccia.

    È un punto di vista che anch’io mi sento di condividere. Per questo vi propongo di seguirmi su montagne che forse più di altre hanno ricevuto un senso e ci parlano grazie all’esperienza vissuta dagli alpini. Montagne che vivono, parafrasando Bonatti, grazie agli alpini.

    Siamo sulle Piccole Dolomiti, a ridosso della pianura vicentina. E qui, chi c’è stato lo sa, ogni angolo, ogni sentiero, ogni profilo delle creste pulsa del ricordo delle penne nere. Le penne nere sono ovunque, anche se non si vedono. Le Piccole Dolomiti, delle quali fanno parte il gruppo del Pasubio, la catena del Sengio Alto, il gruppo della Carega e la catena delle Tre Croci, appartengono alle prealpi vicentine propriamente dette, insieme al gruppo degli Altipiani. Queste montagne dalle line rotte e dentellate sono cosparse di arditi campanili chiamati dai locali “grattanuvole”. Culmine di questo articolato sistema montuoso è cima Carega (2.259 m), con la sua particolare forma che ricorda vagamente una sedia, il cui corrispettivo dialettale è, appunto, “carega”. Qui, come detto, si trovano ovunque segni profondi dei nostri soldati e dell’epopea tragica della Grande Guerra.

    Nel raggio di pochi chilometri si contano in successione ben sette forti (che oggi, dopo i restauri e gli allestimenti in previsione del centenario, è possibile visitare): Forte Cima Vezzena, Forte Busa Verle, Forte Lusern e Forte Belvedere Gschwent sugli altipiani di Vezzena, Luserna e Lavarone; Forte Cherle, Forte Sommo Alto e Forte Dosso del Sommo sull’altopiano di Folgaria. Ma soprattutto è percorribile – e si avrà l’impressione di camminare come in una sorta di montagna parlante – la famosissima Strada delle 52 Gallerie, intagliata lungo il tormentato versante meridionale del sottogruppo dei Forni Alti. Si tratta di una comoda mulattiera che prende avvio dalla Bocchetta Campiglia (1.216 m) e si alza costantemente fino al passo di Fontana d’Oro (1.875 m). Da qui giunge alle porte del Pasubio e quindi al rifugio generale Achille Papa (1.928 m), nel cuore del Gruppo, sui roccioni che delimitano la testata della val Canale. Pochi metri sopra l’edificio intitolato al generale Papa si noterà il bivacco Marzotto-Sacchi (in tutto sette posti, sistemati intorno a una stufa), molto utile nei mesi invernali quando il rifugio è chiuso. La spettacolare Strada delle 52 Gallerie, ovviamente, ha una sua storia specifica, che andrebbe conosciuta prima di affrontarla. Eccola qui riassunta.

    Dopo le settimane infuocate dalla Strafexpedition, italiani e austroungarici rimasero per lungo tempo immobili sulle posizioni guadagnate. Tutto sembrava consolidato tra le rocce delle montagne. I generali austriaci consideravano fondamentale la conquista del Pasubio, cioè delle porte del Pasubio (1.928 m), importante sella che separa il Pasubio dal sottogruppo del Monte Forni Alti (2.023 m). Era quello un punto di passaggio obbligato per gli eserciti, ed è anche il capolinea della Strada degli Scarubbi e della Strada delle 52 Gallerie. Da lassù gli austro-ungarici avrebbero potuto calare sulla pianura e accerchiare l’intero Esercito italiano impegnato sul fronte che si estendeva verso oriente. Ma passare allo scoperto pareva impossibile. L’unica strategia sembrava quella di logorare il nemico e avanzare senza farsi vedere. Divenne per questo fondamentale garantire il rifornimento alle prime linee, costruendo una fitta rete di strade, camminamenti e passaggi. Fu così che dal settembre 1917 gli eserciti iniziarono le grandi opere di scavo della montagna. Era il momento di tirare fuori il genio, e migliaia di uomini che lavorassero senza risparmiarsi, su entrambi gli schieramenti. Iniziava una vera e propria guerra sotterranea, con picconi e sforzi immani, che si concluderà il 13 marzo 1918 quando circa 50 tonnellate di esplosivo austriaco faranno letteralmente esplodere il Dente italiano.

    Gli italiani pensarono di costruire una via di accesso più agevole al monte Pasubio, in quanto quella esistente, la Strada degli Scarubbi sul versante nord, risultava difficilmente percorribile nella stagione invernale, oltre a essere esposta al fuoco austriaco del vicino monte Maio. Nacque così la Strada delle 52 Gallerie, che venne completata dal Genio Minatori nel tempo record di nove mesi (da marzo a novembre 1917). Lunga sei chilometri e 300 metri, corre nel buio delle gallerie per due chilometri e 300 metri. Oggi, prima di partire per la nostra passeggiata sarà indispensabile compiere il rituale gesto del controllo della lampada frontale. Se tutto è a posto, ci si potrà avventurare nel buio e nell’umido delle gallerie, dove i passi rimbombano tra lo stillicidio che proviene dal soffitto. Si avanzerà inseguendo il puntino di luce al fondo e il cono luminoso prodotto dalla frontale che rischiara lo spazio circostante.

    Avanzare là dentro dà una sensazione straniante. Specie nella famosa ventesima galleria elicoidale, che sembra salire a spire disorientanti nel cuore roccioso della montagna. Anche se la Strada delle 52 Gallerie è rubricabile a una classica passeggiata per famiglie, durante il percorso occorre comunque prestare attenzione evitando, per esempio, di lasciarsi attrarre da misteriose diramazioni che partono dalle gallerie principali e si avventurano chissà dove nei lati sempre più bui: si tratta di rami minori, in parte crollati e interrotti da frane, che possono risultare pericolosi. Una volta arrivati al rifugio, è consigliabile fermarsi a dormire per poi completare, la mattina seguente, la visita al grande teatro di guerra salendo verso la zona sacra del Pasubio, luogo delle battaglie del durissimo inverno 1917-1918. E osservando l’arido e muto scenario delle cime ricoperte di sassi, capiremo che la montagna avrà una parola anche per noi.

    Marco Albino Ferrari
    direttore di Meridiani Montagne