Rubrica aperta ai lettori.
LA PREGHIERA DELL’ALPINO
Leggo su L’Alpino, la lettera di Edoardo Gaia presidente della sezione di Biella. Mi preme sottolineare che non mi ritrovo nelle sue esternazioni. Dopo 52 anni di attività nella sezione di Trento e 15 ai vertici del C.D.S., tutti i miei 270 capigruppo e i quasi 25mila soci, conoscono quanto il loro presidente sia costantemente impegnato perché ogni alpino della sezione di Trento sia rispettoso delle regole dell’ANA. A Tesero, il 14 febbraio u.s., a conclusione del 75º Campionato nazionale di sci di fondo, ottimamente organizzato dal gruppo del luogo, con una partecipazione di atleti come mai verificatosi in passato, durante la celebrazione della Messa un vecchio alpino del Gruppo ha recitato a memoria, la Preghiera dell’Alpino imparata a suo tempo nel testo come concordato e approvato nel 1987 dall’Ordinario militare e dal presidente nazionale Leonardo Caprioli. Nessuna mistificazione, quindi: Rendici forti a difesa della nostra Patria, della nostra Bandiera , un testo compatibile con il senso comune del tempo rispetto all’attuale Rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera e la nostra millenaria civiltà cristiana .
Giuseppe Demattè Trento
ALPINI È BELLO
Sono da 40 anni socio del gruppo alpini di Leonessa, sezione Roma, e nonostante i miei 62 anni il mio essere semplicemente alpino mi inorgoglisce e mi rende beatamente partecipe sempre . Adunate locali e sezionali, Adunata nazionale, Premio fedeltà alla montagna, vita del Gruppo, partecipazioni di volontariato (come ad esempio Romail dal prof. Mandelli e terremoto de L’Aquila) sono per me momenti di vita che suggellano lo spirito alpino e la fratellanza che ci unisce. Ed è bello, rientrato a casa, gustare in silenzio le sensazioni, gli stimoli ed il bene che ogni volta ti entrano dentro e ti fanno capire il vero senso della vita. L’arrivo della nostra rivista mi spinge, ancora ed ogni volta, a leggere tutto e subito e a ricercare nelle foto i momenti, i luoghi, i volti, le situazioni a me familiari. Sono poi le lettere al direttore scritte da alpini semplici come me e gli articoli che raccontano le piccole grandi storie di questa tipologia di alpini che più mi rapiscono e mi confermano quanto essere semplicemente alpini è bello e per sempre. Vedere il volto del nostro presidente ed i luoghi che raggiunge ogni volta, rendono conto del suo continuo peregrinare ovunque il dovere lo chiama; vedere insieme a lui il suo consiglio nazionale sempre presente, dà spessore alla nostra grande famiglia alpina e fa capire la dedizione che ognuno di essi dona alla nostra associazione . Ogni volta che nel piccolo guscio del Gruppo a cui appartengo insieme agli altri partecipo alla organizzazione di una Adunata, alla solidarietà per una colletta, all’aiuto per qualcuno che ha bisogno, al rifacimento del tetto di una chiesetta o rifugio di montagna, inizio pensando di voler donare qualcosa agli altri. Poi, ogni volta che rientrato a casa poso il cappello al solito posto e inizio a riflettere, mi accorgo e mi ripeto che in effetti quel mio voler donare qualcosa agli altri si trasforma in un ricevere del bene che mi riempie e mi fa allocare tra le persone fortunate che grazie al dono di Dio di essere in salute, di essere montanaro, di non essere egoista, di essere alpino partecipano a gettare dolcemente e con umiltà una goccia nel mare che siamo e che è di noi tutti. Capita allora che lo sguardo di un malato, il sorriso di un bambino, un viva gli alpini di chi ti incontra ti fa venire i brividi, ti inumidisce gli occhi, ti tocca il cuore. È proprio vero che alpino una volta è alpino per sempre.
Nardino Cesaretti Leonessa
L’OBIETTORE PENTITO
Rispondo all’autore dell’articolo apparso su L’Alpino di febbraio, nella rubrica zona franca Obiettore pentito e condivido tutto, con la differenza che i miei mesi furono 15 e che durante la ferma ci sono delle aggravanti nella vita di un militare alpino, attivo e non da ufficio. Che tu non hai citato, perché non puoi conoscere ma che non varierebbero la sostanza di ciò che hai scritto; lo appesantirebbero soltanto, inutilmente. Facendo quattro conti sulle dita, potrei esserti genitore (sono del 1948) e la vita civile dei miei vent’anni era di certo notevolmente diversa da quella che hai vissuto tu. La naja, essendo a grandi linee tutto quello che hai citato, null’altro è che la vita di un uomo condensata in pochi mesi con tutte le cose sgradevoli (molte) e le soddisfazioni effettive (pochissime) che la vita vera ti distribuisce in tutto il suo arco. Credo che la durezza della naja fosse tutta lì: l’essere un condensato. Quell’inutile naja era solo un assaggio compresso e completo della vita vera, in quanto tutti i comportamenti negativi che tu hai citato (ed altri ancora) e che si subiscono nel periodo della ferma, sotto altre forme ed altre denominazioni sono quelli che, se non riesci a sopportarli, ti possono rovinare la vita reale. Cioè, quella che conta e vale molto di più. La naja non è stata del tutto inutile, in quanto ti rende più resistente nei momenti in cui a casa avresti forse mollato. Comunque l’ultima frase del tuo scritto la voglio ricopiare per intero, perché è ciò che anch’io sostengo da sempre. Inviterei tutti i giovani, benchè non più obbligati a farlo, a non privarsi dell’esperienza di un anno nelle Forze Armate, negli Alpini in particolare .
Aldo Parodi Buttigliera Alta (Torino)
Pubblicato sul numero di luglio agosto 2010 de L’Alpino.