Zona franca

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    Rubrica aperta ai lettori.

    Per un alpino il suo cappello è tutto

    Partecipavo a una manifestazione politica a Roma, ad un certo punto noto, tra la selva di bandiere e striscioni, quattro cappelli alpini e mi si stringe il cuore. Resto un po’ titubante sul da farsi, cerco di riflettere, mi sento intrappolato tra l’idea di lasciar correre e quella di intervenire, di andare a chiedere a quegli alpini il motivo della partecipazione ad un corteo politico con il cappello. La questione è vecchia. Durante le campagne elettorali, ai comizi, in certe trasmissioni televisive di emittenti locali, si sono visti ogni tanto cappelli alpini presenziare a sproposito. L’ANA è intervenuta più volte sull’argomento, cercando di sensibilizzare i propri iscritti invitandoli a non partecipare a manifestazioni politiche. L’Associazione non può andare oltre, perché portare un cappello, anche se alpino, non costituisce reato. Mi è venuto alla mente che per un alpino il suo cappello è tutto. Mi sono avvicinato, ho detto che ero un alpino anch’io e loro si sono subito aperti ad un sorriso, forse pensando che andassi ad unirmi a loro, a congratularmi della loro presenza. Appena hanno capito che non condividevo il loro messaggio, che stavo rampognandoli, che mi vergognavo per la presenza del cappello in un contesto specificatamente politico, il sorriso è sparito, l’espressione è rapidamente cambiata, i toni della discussione si sono fatti sempre più alti. Non sapendo più come fare a convincerli ho urlato loro una parolaccia. Il più giovane dei quattro ha tentato di saltarmi addosso. Ero andato per civile protesta, mi davano fastidio gli insulti rivolti agli avversari, ho finito per insultare anch’io. Chiedo scusa a quei quattro, ma loro devono chiederla a quelle migliaia di alpini il cui cappello è stato messo sulla croce della loro tomba.

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    Nikolajewka e la Julia

    Con la ricorrente esaltazione della Tridentina a proposito di Nikolajewka, osservo da tempo su tanta stampa alpina anche una insistente presentazione della battaglia di Novo Postojalowka (20 gennaio 1943) con protagonista la sola divisione Cuneense. Che Nikolajewka con tutti i combattimenti superati ripiegando, sia stata una vittoria ottenuta dalla Tridentina è risaputo e incontestabile. Ma, ricordo io che c’ero, a Novo Postojalowka, 12 km a sud a Postojali, la prima a cozzare contro il primo serio sbarramento russo la sera del 19 gennaio 1943 fu la Julia, già stremata e massacrata dal precedente mese di impegno catastrofico sul gomito del Don a Novo Kalitva. Seguì poi anche la Cuneense, di rincalzo, più integra ed efficiente, ugualmente però sacrificata in una battaglia sfortunata e impossibile durata trenta e più ore. Dunque quando si parla di Novo Postojalowka anche la Julia va ricordata, assieme alla Cuneense. Fu una azione sacrificale tremenda anche se poco conosciuta e forse poco valutata: Julia e Cuneense formarono fatalmente barriera e riparo al fianco sud della Tridentina in ripiegamento, alla quale venne così non poco agevolato il ruolo di cuneo per sfondare l’accerchiamento. Anche il gen. Battisti ne scrive chiaramente nella sua relazione. Ricordo inoltre nel merito il recentissimo lavoro del presidente UNIRR Carlo Vicentini Il sacrificio della Julia in Russia che mette a punto tante informazioni troppo spesso ignorate. Vi segnalo infine la proposta di Pietro Marchisio, tenente del gruppo Conegliano , proprio vicino a me del Tolmezzo davanti a Novo Kalitva e poi a Novo Postojalowka e oltre: che cioè, per riconoscere finalmente anche i meriti della Julia con la Cuneense, sarebbe auspicabile commemorare la tragica campagna di Russia anche a Udine ed a Cuneo, alternativamente con Brescia. Il 2007 potrebbe dare occasione opportuna a un tale corso?

    Guido Vettorazzo Rovereto (Trento)

    Chi ricorderà i Caduti?

    Da qualche giorno è stata celebrata la ricorrenza della battaglia di Nikolajewka e mi torna alla mente sempre la stessa domanda: Quando le Associazioni d’Arma non esisteranno più, chi promuoverà il ricordo dei nostri Caduti, dispersi e reduci? . La sola risposta che attualmente mi so dare è purtroppo lapidaria: nessuno. Nessuno perché oggi viviamo in una società in cui, per la buona parte dei cittadini, l’ambizione principale non è più l’essere eredi, depositari e tutori degli ideali e dei valori dell’uomo, bensì l’importante è l’essere economicamente ricchi, socialmente in vista, importanti. Ed il raggiungimento di tali obiettivi sta man mano spogliando l’uomo delle sue qualità migliori: la semplicità, l’onestà, l’umiltà, la dura laboriosità, il sacrificio giornaliero, la coerenza, la riconoscenza, ma soprattutto, il ricordo delle proprie radici, del proprio passato, nel bene e nel male. Sarò pessimista, ma credo che la società futura ben difficilmente saprà fare memoria della propria storia e, di conseguenza, non saprà dare valore al proprio passato nel ricordo di coloro che con sacrifici, anche della vita, hanno saputo amare la propria gente e la propria Patria. Del resto anche le istituzioni non sanno dare buon esempio. Finchè esse tuteleranno il proprio orticello, i soli interessi personali o di partito, finchè stravolgeranno il concetto di amor patrio e di famiglia, non sarà possibile crescere una società matura, responsabile e memore dei propri trascorsi.

    Gian Paolo Cazzago Ospitaletto (Brescia)